Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Crolla, non crolla: gli alpini, la «politica» e gli ingegneri sul ponte di Penelope
BASSANO L’alpino che di suo è paziente e sgobbone (ma non mona), a questo punto li avrebbe mandati tutti a quel paese dicendo: «Ristrutturatevelo da soli questo ponte, va bene la fatica e la guerra di trincea ma non questa palude combattuta a carte bollate, perizie, controperizie, ricorsi e sentenze. È il ponte di Penelope, non degli alpini». Così il nostro fante di montagna tirerebbe giù un moccolo e, tolta la sponsorizzazione, (ponte e basta) se la terrebbe fino a che non si sono messi d’accordo.
Il comune di Bassano litiga con l’impresa che deve portare a termine i lavori di consolidamento, così che, mentre domenica prossima si celebra la grande adunata di Treviso, qui a Bassano va in scena l’eterna commedia italiana delle opere pubbliche, inizio incerto, fine lavori mah!, costi molto elastici.
All’inizio del ponte – parte Tagliatella - gli alpini bevono per dimenticare: «Crollasse una volta per tutte questo ponte, così smetterebbero di tirarla per le lunghe». Non è una brutta idea. Cinque anni fa, un ingegnere giapponese esperto di terremoti e sciagure naturali venne invitato dalla cittadinanza e, studiata la situazione, disse la sua: «È meglio buttarlo giù e rifarlo». Guardatolo con compassione, lo rispedirono a casa. Nessuno ricorda più il nome del giapponese ma adesso sono in molti a dargli ragione: il ponte ha 500 anni, nel corso del tempo è stato rimaneggiato più volte col risultato che adesso risulta essere un patchwork di legni diversi con età diversa, alcuni dei quali hanno esaurito la loro vita utile (è il caso delle due campate lato taverna degli alpini) mentre altri, più recenti, reggono e possono fare ancora il loro lavoro.
Non è più dritto, fa pancia e se lo si guarda da sopra è torto come un serpente.
Buttarlo giù e armonizzare il tutto? Dirlo è ancora una bestemmia.
Rifarlo? La gente inorridisce all’idea di vedere il Brenta scoperchiato senza i vecchi legni a fargli da cornice. Ecco che si è arrivati alla soluzione di rispettarne l’esteriorità con alcuni, sapienti innesti
Impegno 5 milioni di euro. L’affare se l’è aggiudicato la Nico Vardanega di Possagno dopo una battaglia legale vinta contro la Inco di Pergine. «La Vardanega ha vinto, ha in mano il progetto dal dicembre 2015 – rileva il sindaco Riccardo Poletto – e ora si fa venire i dubbi, non gli va più bene niente. La procedura non va bene, la struttura di sostegno rischia di farlo crollare. Quelli accampano pretesti e fanno dell’allarmismo strumentale». Nella mischia ieri si è infilato anche il progettista del restauro, professor Claudio Modena che ha definito «schiocchezze» le perplessità dell’azienda e poco professionali le sue considerazioni: «Non sanno neanche cos’è un ponte di Bailey».
Il ponte di Bailey è la struttura che dovrebbe reggere il ponte mentre si rifanno i piloni ingegneristici. sottostanti: per la Vardanega l’impianto va a pesare sui piloni al punto che li farà crollare, per il professore la struttura si regge da sola. E nessuno ci capisce più niente, parrebbe una lite tra comari, ed è davvero un mistero perché Gianantonio Vardanega nega di volere più soldi. «Abbiamo mandato loro una relazione di 32 pagine: così come lo vogliono, è rischioso deviare il fiume; se l’acqua monta siamo spacciati, le travi sono marce al 30 per cento».
Se non sono soldi, di che cosa si tratta? «Di politica», mormorano in piazza i soliti bene informati, e lo dicono coprendosi la bocca come fanno i politici alla Camera. Il ponte è del Palladio, ha 500 anni e ne aveva altri 400 quando se ne servirono i Cangrande della Scala e i Carraresi per darsele di santa ragione, incendiato dal francese monsieur de La Palice (la banalità lo rese celebre), bruciato da Eugenio di Beuharnais nel 1813. Rifatto e rattoppato (nel 1850 alzarono i rostri, nel 1945 saltò per metà a causa di una bomba partigiana, nel 1966 patì la Brentana e nel 1992-93 fu ulteriormente rattoppato), sofferente, ma ancora lì, in legno, non in pietra come lo voleva il Palladio (e siamo nel 1569) che abbozzò davanti alle autorità comunali (anche allora c’erano le belle arti).
La Vardanega aveva 850 giorni per finire l’opera, 100 se ne sono già andati in burocrazia, ne restano 750. Per ora ha imbragato la struttura e tolto i coppi, praticamente non ha fatto niente.
«Purtroppo ci siano giocati la finestra invernale. Io però parto lo stesso con i lavori il prossimo 21 maggio – giura Gianantonio Vardanega - il Comune mi impone di fare come vuole lui? Obbedisco, ma se ne prende la responsabilità».
Gianantonio Vardanega non è un alpino, ma un paracadutista del 5° battaglione El Alamein, con la complessione, il pizzo e i bicipiti di uno che non vota a sinistra. Ecco che sarebbe spiegata la «politica».
Chi gli vuol male (quelli a mezzabocca) insinua che suo fratello è della Lega, che i leghisti in Regione non vedono l’ora di dimostrare quanto l’amministrazione di Bassano (di sinistra) sia una schiappa, perciò si tratterebbe di una guerra per procura, una proxy war, tipo Siria. «Io sono figlio unico – smentisce il paracadutista – e i paracadutisti ci sono anche negli alpini».
Il sindaco Poletto La ditta ha vinto, ha il progetto in mano da due anni ma adesso non gli va più bene: pretesti