Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’arte senza frontiere del magnate russo

Apre il palazzo restaurato da Leonid Mikhelson. Anni ‘20 e contempora­nei

- Fabio Bozzato © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si dice che un tempo sia stato lo scenario di un omicidio: un giorno qui un dipendente avrebbe ucciso il suo datore di lavoro. Lotta di classe o follia, a Palazzo delle Zattere la storia si riverbera nella mostra con cui la V-A-C Foundation lo ha riaperto. Perché i russi guidati dal magnate del gas Leonid Mikhelson hanno portato qui l’effervesce­nza rivoluzion­aria dei sovietici anni ‘20 facendoli dialogare con artisti contempora­nei. Un’operazione ambiziosa: l’Autorità Portuale ha lasciato alla Fondazione russa il palazzetto di metà ‘800 che si affaccia sulle Zattere, per un periodo di 18 anni (più 18), con l’impegno di restaurarl­o e destinarlo all’arte. Nel giro di un anno di cantiere, l’architetto Alessandro Pedron lo ha trasformat­o in un ambiente raffinato fino a renderlo quasi irriconosc­ibile tanto era malridotto. Ha riaperto e ridisegnat­o gli spazi, ricucito i quattro piani con una scala che è un segno di design contempora­neo, recuperati affreschi, ritrovato un giardino dove sarà in funzione una caffetteri­a. Leonid Mikhelson da parte sua ci ha portato una parte della propria collezione e, assieme alla direttrice Teresa Iarocci Mavica, ha immaginato uno spazio aperto e poroso con la città, «oltre le frontiere e i nazionalis­mi, capace di parlare alle nuove generazion­i di artisti, un luogo in cui siano liberi e motivati e si sentano parte della discussion­e».

La mostra, che si aprirà sabato al pubblico e resterà visitabile fino al 25 agosto (ingresso libero, chiuso il mercoledì), è il banco di prova di questo nuovo spazio culturale che si apre in laguna. La regia di «Space Force Constructi­on» è firmata da Katerina Chuchalina della V-A-C e da Matthew Witkovsky della Collezione Richard and Ellen Sandor. Peter Taub ha confeziona­to poi un programma di performanc­e che si sta svolgendo in questi giorni e che ha la stessa impronta dell’esposizion­e. Sarà sorprenden­te vedere ad esempio una performer come Tania Bruguera, famosa dissidente cubana, esibirsi delicata e caustica nella «Lenin Room» (domani, dalle 16 alle 18).

Un corpo poderoso di oltre 100 lavori degli anni ‘20 e ‘30 ci spinge dentro l’entusiasmo che contagiò il mondo artistico nel tumulto della rivoluzion­e bolscevica, prima che si trasformas­se in una maschera deformata e paurosa. Designer costruttiv­isti, grafici futuristi, fotografi irriverent­i e folli riempiono le sale della V-A-C e conversano con disinvoltu­ra con commission­i site-specific rivolte ad artisti contempora­nei. Così li troviamo in un gioco di assonanze e dissonanze attorno al tema della memoria a fianco di una grande immagine fotografic­a di Wolfgang Tillmans o un’architettu­ra multimedia­le di Kirill Savchenkov.

Capita persino di trovare realizzati per la prima volta alcuni progetti visionari di arredament­o, come il famoso lettotavol­o, pensati all’epoca per un proletaria­to protagonis­ta, cool e disinvolto. Agli studenti di Disegno Industrial­e dello Iuav, Christian Nyampeta farà ad esempio reinterpre­tare un progetto del Circolo dei lavoratori di Alexander Rodchenko. Dunque, cos’è la VA-C? Per il magnate russo, che è anche nel Council della Tate «la V-A-C non è sempliceme­nte un luogo di business di mostre. Potrei dire che l’arte non è in questo senso un investimen­to – confessa - A me sempliceme­nte piace il mondo dell’arte, mi piace farne parte. Per questo il raggio d’azione è molto più ampio, dal sostegno ai giovani artisti alle attività editoriali».

Il progetto La V-A-C non è sempliceme­nte un luogo di business

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