Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Un piatto in mensa e un letto per la notte: più 30%
Rapporto Caritas, impennata di richieste: «È l’effetto della seconda accoglienza»
TREVISO La nuova frontiera della povertà ha un nome e un cognome: seconda accoglienza. I neo-poveri sono i migranti che, dopo avere ottenuto asilo, si trovano in 24 ore fuori dalla rete di protezione internazionale. In mezzo a una strada - all’Appiani o in stazione ferroviaria, per essere più precisi - senza un letto e ovviamente senza un lavoro ma con in mano il tanto atteso documento.
A lanciare l’allarme è la Caritas di Treviso che con questa emergenza ci fa i conti tutti i giorni. Ormai è diventata una routine, tanto che il presidente, don Davide Schiavon, spiega che Caritas ha scelto di non occuparsi più di tamponare le emergenze ma di gestire l’ordinaria amministrazione. E i numeri della quotidianità tracciano una fotografia impietosa della provincia. La Marca non riesce ancora a dare un letto a tutti quelli che ne sognano uno. Alla Caritas la lista d’attesa per un posto in dormitorio è aumentata del 30% negli ultimi 12 mesi, che equivale a una cinquantina di uomini che sperano di non doversi accampare per la notte. «La seconda accoglienza è un fenomeno nuovo, con cui ci troviamo in contatto per la prima volta – spiega il numero uno della Caritas Tarvisina – per questa ragione è necessario da parte nostra cercare un dialogo con le istituzioni. La nostra non può essere una supplenza ma una collaborazione, non dobbiamo sostituirci come spesso abbiamo fatto in questi anni».
Nel corso della presentazione del rapporto della Caritas trevigiana sono stati comunicati anche i numeri della Casa della Carità, dove la cena viene servita ormai su due turni perché in mensa non c’è posto per tutti. Oltre 13mila sono i vassoi messi nelle mani di chi altrimenti non avrebbe nulla da mangiare, l’aumento anche in questo caso è del 30% rispetto allo scorso anno. Ogni notte viene garantito un posto letto a 94 uomini e 54 donne. In totale sono 274 le persone che hanno passato almeno una notte nella struttura. In questo caso l’aumento dei nuovi accessi ha avuto un’impennata rispetto al passato. Alla carità cristiana si affiancano anche progetti estremamente concreti: come quello chiamato «un rifugiato a casa mia», che ha permesso in piccoli gruppi di accogliere in parrocchia o in famiglia 45 migranti che hanno ottenuto la licenzia media, hanno avuto la possibilità di sperimentare un lavoro con tirocini e due di loro hanno addirittura ottenuto un contratto a tempo indeterminato.
«Se politicamente l’accoglienza diffusa rappresenta un problema – ha spiegato don Davide – noi non possiamo alimentare la logica dello scarto. Gli scarti rischiano di avvelenare il resto. I numeri sono impressionanti e lo saranno sempre di più. Per questo servono delle risposte anche da parte delle istituzioni».
Tra i numeri emersi, anche quelli relativi alle donazioni dei privati: dai 24mila euro del 2015 si è passati nel 2016 a 51.700euro. «La gente capisce e condivide il nostro impegno».