Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
UNA VIA PER GLI AZIONISTI
La delicatezza del tema «banche venete» impone a tutti uno sforzo di razionalità, ma anche un supplemento di proposta. Quando venerdì scorso con un intervento sul Corriere del Veneto auspicavo un’iniziativa politica per evitare un colpo di spugna sulle ragioni degli azionisti, intendevo più esattamente quanto segue.
In primo luogo, l’idea che le ragioni degli azionisti debbano trovare tutela in sede di ammissione al passivo dinnanzi alle sezioni fallimentari mi pare difficilmente praticabile. E, su questo, credo che anche la magistratura possa esprimere il proprio autorevole punto di vista.
In secondo luogo, l’eventualità di uno scrutinio di costituzionalità del decreto di salvataggio delle banche venete rende più incerto il quadro, nonché ancor più necessario pensare a soluzioni ben calibrate.
Tutto ciò - a mio giudizio deve essere ben chiaro – non intacca la bontà della soluzione trovata. Per essere ancora più esplicito: la cessione a Intesa è, rebus sic stantibus, la migliore delle soluzioni possibili.
Come immaginare quindi di far fronte alle criticità appena evidenziate?
Mi sembra molto importante l’apertura alla possibilità di soluzioni a latere che, sul fronte governativo, già sabato sono emerse dalle pagine di questo stesso giornale. Si dovrebbe pensare allora di comprimere il contenzioso avviando una camera di conciliazione in grado di assorbire le domande degli azionisti. Questa volta, però, sarebbe opportuno procedere distinguendo le profilature soggettive, magari attribuendo un tempo limite perché le parti riescano a raggiungere una conciliazione. Oltrepassato il tempo prestabilito, si attiverebbe una procedura arbitrale (secondo il modello che si usa chiamare med-arb, ossia mediation– arbitration): sarebbe quindi opportuno che soltanto della procedura conciliativa fosse assicurata la gratuità, mentre qualora la fattispecie presentasse profili particolarmente critici, la procedura assumerebbe le vesti di arbitrato, così da giungere poi a lodo.
Naturalmente, questa camera di conciliazione necessiterebbe di un organico non troppo scarno (magari integrato anche da componenti della società civile, come pure è stato proposto), in grado di stabilizzare in tempi brevi la gran parte del contenzioso.
Infine, c’è da chiedersi: occorre pensare a una struttura completamente nuova? A me pare che l’Arbitro per le Controversie Finanziarie possa offrire le giuste garanzie per far da «base d’appoggio» rispetto alla camera di conciliazione cui penso.
Di sicuro, resto persuaso che la spinta verso una richiesta di giustizia (tanto più dopo le indicazioni che in questi mesi sono giunte da tribunali ordinari, Consob, Antitrust etc.) meriti di essere accuratamente incanalata e gestita, piuttosto che lasciata all’iniziativa dei singoli.