Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Sei le offerte, due vincolanti «Migliore Intesa»
Il documento ai deputati: «Coinvolti altri sei potenziali acquirenti»
Il costo complessivo del fallimento delle due banche venete? Supererebbe i 64 miliardi di euro. È la Banca d’Italia a fare il conto, nella relazione che ha depositato ieri in parlamento, a disposizione dei componenti della Commissione Finanze che stanno esaminando, come si sa, la conversione in legge del decreto-Intesa. Se non fosse intervenuta la procedura di liquidazione coatta — dettaglia infatti Palazzo Koch — «circa centomila piccole e medie imprese e circa duecentomila famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i crediti (circa 26 miliardi)». Per cui «ne sarebbero con tutta probabilità derivate diffuse insolvenze». E «la conseguente distruzione di valore si sarebbe scaricata sui detentori di passività». Ma non solo. «I depositanti non protetti dalla garanzia, insieme agli obbligazionisti senior — prosegue la relazione —, avrebbero dovuto attendere i tempi della liquidazione (vari anni) per ottenere il rimborso (circa 20 miliardi)». Mentre «il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi avrebbe dovuto far fronte a un esborso immediato per circa 10 miliardi, e a rivelarsi sulla liquidazione negli anni successivi». Infine «il sistema bancario avrebbe dovuto farsi carico di gran parte delle somme necessarie al rimborso dei depositanti in tempi estremamente ristretti. Lo Stato sarebbe stato chiamato all’immediata escussione della garanzia sulle passività emesse dalle due banche per un importo di 8,6 miliardi». Calcolatrice alla mano, appunto, 64 miliardi.
Per Bankitalia, dunque, la soluzione prospettata, risulta l’unica alternativa possibile. «È stata preparata nell’arco di pochi giorni — si legge —, dopo l’abbandono dell’ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale, perseguita nei mesi precedenti». Mentre la scelta del governo di «affiancare un aiuto di Stato alla procedura di liquidazione coatta è risultata indispensabile per individuare un acquirente e preservare per questa via la continuità operativa delle due aziende, che sarebbe venuta meno in caso di liquidazione “atomistica”». Ovvero di «spezzatino», con le varie poste delle banche sparpagliate nelle mani di vari acquirenti.
E a proposito di acquirenti, dalla relazione di Bankitalia emergono particolari inediti. «L’acquirente (cioè Intesa, ndr) — scrivono gli uomini del governatore Ignazio Visco — è stato selezionato sulla base di una procedura aperta e trasparente, che ha coinvolto sei potenziali acquirenti, tra cui cinque primari gruppi bancari italiani ed esteri (un numero elevato, tenendo conto dei tempi molto stretti imposti dalla procedura) e un grande gruppo assicurativo italiano». E quindi «a conclusione del processo sono pervenute due offerte di acquisto vincolanti». Ma alla fine «l’offerta di Intesa è risultata nettamente la migliore, in quanto idonea ad assicurare la continuità aziendale e a minimizzare le componenti da lasciare in capo alle due banche in liquidazione». Insomma, Intesa, stando a quanto riferisce ai parlamentari Bankitalia, non sarebbe stata sola.
«È imbarazzante l’opacità dell’operazione — commenta l’ex sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti —. Non si conoscono nè le procedure, nè i nomi dei soggetti coinvolti. Sfido chiunque a dimostrare che se già a marzo si fosse lanciata un’offerta pubblica con paletti precisi, non si sarebbe trovato un gruppo disposto a mettere 1,2 miliardi di euro per portarsi a casa una rete così importante come quella delle nostre due banche». Severo anche il giudizio di Domenico Menorello (Civici e Innovatori): «Grave che gli organi preposti alla Vigilanza bancaria non abbiano accettato la richiesta di audizione da parte della Commissione Finanze sulle drammatica questione delle banche venete (limitandosi alla relazione scritta, ndr)».
Intanto domani a Milano inizierà il confronto tra Banca Intesa e le sigle sindacali sul fronte degli esuberi. «Viste le decisioni assunte a livello europeo, che prevedono la chiusura di 600 filiali e la riduzione di 4mila posti di lavoro — fanno sapere dalla Federazione autonoma dei bancari (Fabi) —. occorre che la trattativa sciolga alcuni nodi. Tra cui la creazione di nuove attività in loco per la salvaguardia dell’occupazione e le modalità per affrontare la chiusura delle 600 filiali, comprese le direzioni generali e le strutture centrali». «Non sarà una passeggiata», commenta Mauro Bossola che seguirà la trattativa per Fabi.