Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
UNA LEGGE SULLE VITE SOSPESE
Sono uniti nel destino anche dal nome: Giuseppe. Uno di cognome fa Englaro, Beppino Englaro, il papà di Eluana, Eluana diventata la storia di una battaglia e di una sentenza che ha consentito di staccare la spina. L’altro Giuseppe – che non porge il cognome perché «la mia storia è quella di tanti altri genitori» – è il padre di Elisa. Un’Eluana che ancora vive. O meglio vegeta. Vive una morte quotidiana da dodici anni dove «non c’è sole, non c’è pioggia, non c’è neve, non c’è notte e non c’è giorno». Vive insomma la «non-vita» tenuta in vita da una cannula che la alimenta nel suo stato vegetativo irreversibile e conclamato.
Giuseppe di Elisa rifiuta le scorciatoie, il non detto che equivale al non fatto e che tradotto significa portarsi a casa la figlia e lasciarla morire. Anche se Giuseppe non pronuncia mai la parola morte. Usa la parola «libertà». Vuole che Elisa sia «liberata». Né pudore né tabù. Quel «liberata», oltre il dramma umano che fa fatica con aggettivi e verbi, ha piuttosto un sapore giuridico. Perché Giuseppe chiede che a «liberarla», cioè a consentire a un medico di staccare la spina, sia lo Stato. Chiede una legge chiara. Che non lo costringa – come sono costrette ogni giorno molte famiglie – a praticare e tacere appunto la «morte privata». Quella che si può dare in casa. O perfino negli ospedali. Dove spesso la «legge del buonsenso», in mancanza di una «legge dello Stato», porta tutti coloro che hanno a che fare con la «non-vita» che «vive» a mettere la parola fine.
molto in anticipo rispetto a quanto ci aspettavamo».
La situazione di Giuseppe potrebbe essere la stessa?
«Non conosco il caso specifico, ma se fosse tenuta in vita in modo analogo si tratterebbe ugualmente di accanimento terapeutico. Qualsiasi tipo di terapia non sta ottenendo beneficio. Anche l’ordine dei medici, nel proprio codice, è contrario a terapie sproporzionate».
Cosa dovrebbe fare questo padre?
«Quello di Beppino Englaro era stato un percorso lungo, e anche questo padre dovrebbe farlo. Beppino era stato nominato tutore di Eluana, è il punto di partenza».
Sarebbe disposto ad aiutarlo?
«Non sono io a doverlo aiutare. Potrei spiegargli il percorso fatto otto anni fa, ma la parte puramente medica è stata successiva a quella giuridica che già aveva previsto la sospensione delle cure praticate, e che si erano rivelate inefficaci e contrarie alla ricostruita volontà di Eluana, come raccontato da familiari e amici. Per la legge italiana questa è l’unica cosa che si può fare».
Perché ancora una legge non c’è: il testamento biologico è fermo in Senato.
«Aspetteranno che la legislatura cada e si ripartirà da capo. In altre nazioni europee casi come questo non esistono, si lascia riprendere il processo naturale del morire».
Il Dat oggi potrebbe evitare altri casi Englaro?
«Le dichiarazioni anticipate di trattamento non prevedono la sospensione della cura, ma consentono alla persona di dichiarare come vorrebbe essere trattata nel momento in cui sopravvenga uno stato di incapacità».
Cos’è cambiato per lei da quel 2009?
«Ho iniziato una campagna di sensibilizzazione sul tema con Beppino Englaro, che ha coinvolto me e mia moglie, che faceva parte dell’equipe come infermiera, per valutare e spiegare le problematiche. Emotivamente però c’è stato un enorme coinvolgimento».
Che donna c’è, su quel letto, dopo 12 anni?
«Una donna in stato vegetativo permanente che non ha più possibilità di recuperare. Tutte le sue capacità intellettive e di interazione sono assenti. È un corpo senza coscienza di sé e del mondo che lo circonda. Non è più la donna che era in vita».