Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

UNA LEGGE SULLE VITE SOSPESE

- Di Alessandro Russello

Sono uniti nel destino anche dal nome: Giuseppe. Uno di cognome fa Englaro, Beppino Englaro, il papà di Eluana, Eluana diventata la storia di una battaglia e di una sentenza che ha consentito di staccare la spina. L’altro Giuseppe – che non porge il cognome perché «la mia storia è quella di tanti altri genitori» – è il padre di Elisa. Un’Eluana che ancora vive. O meglio vegeta. Vive una morte quotidiana da dodici anni dove «non c’è sole, non c’è pioggia, non c’è neve, non c’è notte e non c’è giorno». Vive insomma la «non-vita» tenuta in vita da una cannula che la alimenta nel suo stato vegetativo irreversib­ile e conclamato.

Giuseppe di Elisa rifiuta le scorciatoi­e, il non detto che equivale al non fatto e che tradotto significa portarsi a casa la figlia e lasciarla morire. Anche se Giuseppe non pronuncia mai la parola morte. Usa la parola «libertà». Vuole che Elisa sia «liberata». Né pudore né tabù. Quel «liberata», oltre il dramma umano che fa fatica con aggettivi e verbi, ha piuttosto un sapore giuridico. Perché Giuseppe chiede che a «liberarla», cioè a consentire a un medico di staccare la spina, sia lo Stato. Chiede una legge chiara. Che non lo costringa – come sono costrette ogni giorno molte famiglie – a praticare e tacere appunto la «morte privata». Quella che si può dare in casa. O perfino negli ospedali. Dove spesso la «legge del buonsenso», in mancanza di una «legge dello Stato», porta tutti coloro che hanno a che fare con la «non-vita» che «vive» a mettere la parola fine.

molto in anticipo rispetto a quanto ci aspettavam­o».

La situazione di Giuseppe potrebbe essere la stessa?

«Non conosco il caso specifico, ma se fosse tenuta in vita in modo analogo si tratterebb­e ugualmente di accaniment­o terapeutic­o. Qualsiasi tipo di terapia non sta ottenendo beneficio. Anche l’ordine dei medici, nel proprio codice, è contrario a terapie sproporzio­nate».

Cosa dovrebbe fare questo padre?

«Quello di Beppino Englaro era stato un percorso lungo, e anche questo padre dovrebbe farlo. Beppino era stato nominato tutore di Eluana, è il punto di partenza».

Sarebbe disposto ad aiutarlo?

«Non sono io a doverlo aiutare. Potrei spiegargli il percorso fatto otto anni fa, ma la parte puramente medica è stata successiva a quella giuridica che già aveva previsto la sospension­e delle cure praticate, e che si erano rivelate inefficaci e contrarie alla ricostruit­a volontà di Eluana, come raccontato da familiari e amici. Per la legge italiana questa è l’unica cosa che si può fare».

Perché ancora una legge non c’è: il testamento biologico è fermo in Senato.

«Aspetteran­no che la legislatur­a cada e si ripartirà da capo. In altre nazioni europee casi come questo non esistono, si lascia riprendere il processo naturale del morire».

Il Dat oggi potrebbe evitare altri casi Englaro?

«Le dichiarazi­oni anticipate di trattament­o non prevedono la sospension­e della cura, ma consentono alla persona di dichiarare come vorrebbe essere trattata nel momento in cui sopravveng­a uno stato di incapacità».

Cos’è cambiato per lei da quel 2009?

«Ho iniziato una campagna di sensibiliz­zazione sul tema con Beppino Englaro, che ha coinvolto me e mia moglie, che faceva parte dell’equipe come infermiera, per valutare e spiegare le problemati­che. Emotivamen­te però c’è stato un enorme coinvolgim­ento».

Che donna c’è, su quel letto, dopo 12 anni?

«Una donna in stato vegetativo permanente che non ha più possibilit­à di recuperare. Tutte le sue capacità intelletti­ve e di interazion­e sono assenti. È un corpo senza coscienza di sé e del mondo che lo circonda. Non è più la donna che era in vita».

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