Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Valeria, la trevigiana idolo di Napoli «La amo». E la città la invita allo stadio
Ora deve lasciarla, «lacrime» sui Social
Valeria, trevigiana, proprio non voleva saperne di andare ad abitare a Napoli per seguire il marito, militare dell’Aeronautica trasferito all’ombra del Vesuvio. E proprio come nel film «Benvenuti al Sud», se n’è poi innamorata. Ora però deve lasciarla, così ha scritto una lettera d’addio sui Social che l’ha trasformata in un idolo per la città partenopea. E i tifosi del Napoli l’hanno invitata allo stadio San Paolo. «Non volevo partire — racconta lei — mia nonna mi aveva salutata con queste parole: attenta alle pallottole volanti».
TREVISO Ha la «calata del Sud», il visino incorniciato da una cascata di capelli neri e parla bene di Napoli («è magica, ti rapisce, ti prende il cuore, sa farti sentire a casa. La sento mia»). Pensi: embè? E’ la sua terra. Invece no: l’autrice della lettera d’amore alla città del sole che su Facebook in cinque giorni ha catalizzato 31mila «like» e 1100 spettatori delle due dirette postate per ringraziare i fans anche per i 2500 sms ricevuti, è trevigiana. Si chiama Valeria Genova e a Napoli ci ha trascorso due anni, con la figlioletta Clarissa e il marito, militare dell’Aeronautica. Che però ora è stato trasferito a Roma, perciò Valeria è di nuovo in lacrime, come nel 2015, quando ha saputo di dover lasciare l’Inghilterra per la Campania e ha puntato i piedi: «Io giù non ci verrò mai, resto a Treviso con la bimba e per due anni facciamo sacrifici». E poi che è successo?
«Ho comprato una guida, ho visto quanti bei posti c’erano da visitare e mi sono fatta coraggio. Ho detto: proviamo, male che vada prendo il treno e torno indietro. Invece a Posillipo mi sono trovata benissimo: per me, polentona, Napoli è diventata la mia terra e ho diradato sempre di più le visite a Treviso. Come ho scritto nel saluto su Facebook, un ricordo alle persone che ho conosciuto qui e soprattutto un monito agli amici del Nord, in Settentrione viviamo di pregiudizi. Parliamo senza sapere. Ricordo lo stupore generale alla notizia della mia partenza per il Sud: ma sei matta, chi te la fa fare? Mia nonna mi ha salutata con queste parole: attenta ai proiettili volanti».
Invece Napoli le è entrata nel sangue al punto da farle perdere l’accento veneto.
«E’ vero! Non ho più la cantilena veneta e le amiche di qui dicono che sembro più napoletana di loro. Purtroppo devo spostarmi a Roma, ho proposto a mio marito di fare il pendolare e lasciarmi qui con nostra figlia. Ma è un’idea che ha bocciato subito». Come l’hanno accolta i napoletani al suo arrivo?
«Non conoscevo nessuno. Dopo tre giorni la mamma di un bambino al Nido con mia figlia, sapendo che eravamo soli e venivamo dal Nord, mi ha iscritta a un gruppo Whatsapp con altre madri e ha organizzato una festicciola a casa sua per farci socializzare. Quel gruppo sono diventate le mie grandi amiche. Ecco, la gente del Sud ha una propensione verso l’altro, un affetto, uno spirito accogliente e accudente che al Nord ci scordiamo. Come sanno aiutarti loro, nessuno». Ha trovato lavoro?
«Ho insegnato per un anno gioco-danza in un asilo. E poi sto portando avanti un progetto nelle carceri, partito dall’istituto di reclusione minorile di Treviso lo scorso aprile e che vorrei diventasse itinerante, coordinato da una ragazza di Pompei, Titti Bonetti. Sono laureata in Filosofia, ho seguito un master in Comunicazione, un corso di giornalismo aerospaziale all’Accademia di Pozzuoli e ho seguito l’ufficio stampa di Geox».
Primo stereotipo della mancanza di lavoro al Sud, via. Secondo: zero servizi.
«Veramente il Nido per mia figlia l’ho trovato subito e pure vicino a casa. Ci siamo trovati benissimo. Poi per la scuola materna ci hanno consigliato quella americana di Bagnoli, perchè arrivando dall’Inghilterra volevo che la bimba mantenesse il bilinguismo. E’ stata una bella esperienza». Com’è vivere a Napoli?
«Si respira un’atmosfera di contrasti, è la città delle contraddizioni radicali: la grande povertà e la grande ricchezza, la profonda cultura e l’ignoranza. Però l’anima di Napoli è la conoscenza del teatro, che permea ogni strato della popolazione. L’attore-doppiatore Luca Ward mi raccontava che tutti gli artisti quando devono recitare al San Carlo sono terrorizzati perché il pubblico, dal calzolaio al nobile, dal magazziniere all’operaio fino allo studente, ne capisce. E fischia chi è sul palco se non è davvero bravo. I teatri qui sono più pieni dei cinema, anche di giovani, è meraviglioso. Sono stata due volte alla Scala di Milano, fantastico, ma il San Carlo trasuda storia». Nessuna paura per la Napoli preda della criminalità?
«All’inizio, vittima del pensiero comune, avevo paura. In realtà gli unici timori li ho vissuti al volante: in effetti la gente va in moto senza casco, i semafori rossi sono un optional, alle rotonde la precedenza ce l’ha non chi è già dentro, ma chi ci entra». Multe ne fanno?
«Poche. Io però l’ho presa, perché ho lasciato l’auto in sosta senza biglietto del park per due secondi!». Sul fronte della sicurezza?
«Non mi è mai successo niente. Come in tutte le grandi città è meglio evitare alcune zone, in particolare la notte, e stare attente alla borsa. Per il resto ho girato da sola e con la bambina dappertutto, pure nei quartieri spagnoli, di giorno. Non puoi vivere a Napoli con il terrore, altrimenti la vivi a metà». L’ha sorpresa il successo della sua lettera?
«Eh sì, credevo di dire parole scontate e ho pensato: se c’era bisogno di una ragazza di Treviso per scoprire le bellezze di Napoli, siamo messi male. Ma se servono ad abbattere i pregiudizi, diventerò ambasciatrice di questa città, sarò figlia del Vesuvio per sempre. Ne sono onorata». Che sensazione prova quando torna al Nord?
«Di noia. Mi manca il caos di Napoli. Per fortuna non è lontana da Roma. Ho già visto gli orari dei treni: in un’ora e 10 sono di nuovo in coppa al Vesuvio».
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Valeria/1 Ricordo che mia nonna mi disse: attenta alle pallottole volanti Valeria/2 E invece la città del sole mi è entrata nel sangue, è diventata la mia terra