Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
1944, la beffa al carcere di Belluno
Il libro di Galli sul ruolo dei carabinieri nella Resistenza: il caso di Antonio Raga
Ipartigiani lo chiamavano «Lapin», coniglio in francese, non certo per indicarne la codardia, anzi. Lo chiamavano «Lapin» probabilmente per la velocità con cui sapeva prendere le decisioni più importanti. Il suo nome era in realtà Antonio Raga, maresciallo Antonio Raga. Era nato nel 1907 in un minuscolo paese del sassarese, Bonnanaro, ed aveva seguito le orme del padre, anch’egli maresciallo dell’Arma. Questo carabiniere sardo celava con un carattere allegro ed affabile una tempra d’acciaio. Fu infatti uno dei più eroici protagonisti della Resistenza bellunese, autore di gesta ancora vivamente scolpite nella memoria cittadina del capoluogo alpino.
Gli è dedicato un capitolo dell’ultimo lavoro di Andrea Galli Carabinieri per la libertà. L’Arma nella Resistenza: una storia mai raccontata (Mondadori, 168 pp., 18 euro), un bel volume in cui si rende il giusto tributo a quelle migliaia di carabinieri che, rifiutandosi di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, si diedero alla macchia unendosi alle formazioni partigiane o mantennero il presidio del territorio, svolgendo, altrettanto pericolosamente, attività di spionaggio o sabotaggio.
È proprio il caso del nostro Raga. Anch’egli, a Belluno nel 1939 dopo aver svolto servizio a Merano e Bolzano, dopo l’8 settembre del 1943 avrebbe potuto indossare abiti civili e ritornare al sicuro in Sardegna. Invece preferisce restare in servizio tra le montagne venete annesse al Reich come Operationszone Alpenvorland. Assieme ad altri quattordici commilitoni, è destinato dai tedeschi alla sorveglianza del Baldenich, il carcere di Belluno. Per i partigiani saliti in montagna quei carabinieri sono solo dei maledetti collaborazionisti. Non sanno che appena un tedesco si distrae distribuiscono ai prigionieri cibo e lettere dei familiari. Quando ne vengono a conoscenza fanno contattare Raga da un sacerdote, don Alfonso Tomiet, il quale gli spiega che c’è bisogno di armi. Detto fatto: l’uomo, ribattezzato «Lapin», organizza e conduce personalmente camion carichi di fucili, mitragliatori, bombe, sicuro che, in caso di controllo, a salvarlo c’è la divisa, il tedesco imparato in Alto Adige, i nomi dei camerati germanici che lo affiancano al Baldenich e la sua parlantina.
I viaggi continuano sino all’aprile del 1944, quando ormai le sorti della guerra sono segnate. Gli Alleati stanno per arrivare ed i resistenti decidono di precederli con un’operazione clamorosa: l’assalto al Baldenich. La data prescelta è il 28 del mese e Raga pianifica ogni dettaglio. A dare il via è un suo parigrado, il maresciallo Aldo Savoia. In un orario convenuto egli comunica al comandante dei tedeschi che è desiderato al telefono. E’ un attimo: appena l’uomo entra nella stanza viene assalito e disarmato. Lo stesso fanno tutti gli altri carabinieri: ci sono tedeschi bloccati in branda, in cucina, in ufficio, in sgabuzzino.
Alla fine l’intero reparto è reso inoffensivo. Sembra fatta ma… il telefono che squilla a vuoto insospettisce il comando nazista che invia una dozzina di uomini a controllare. È ancora una volta il Savoia ad aprire loro il cancello con viso rassicurante. Entrati in cortile scatta la trappola: sono circondati. Qualcuno reagisce e spara ma è inutile: dopo qualche secondo alzano le mani. Con il buio il Baldenich viene evacuato. Restano in cella i tedeschi ai quali Raga, prima di lasciare la città con tanto di sostanziosa taglia sulla testa, assicura viveri ed acqua.
È l’ultimo atto nobile di «Lapin» che, al tacere delle armi, torna ad essere semplicemente il maresciallo Antonio Raga, servitore dello Stato nell’unica Arma «nei secoli fedele».