Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Le aziende offrono lavoro ma mancano specializz­ati

Metalmecca­nici, informatic­i, chimici: tutte profession­alità di «difficile reperibili­tà»

- Di Gianni Favero

Il trend occupazion­ale in Veneto si è stabilizza­to e prosegue in positivo anche dopo la fiammata prodotta nel 2015 dagli incentivi, ma le imprese venete intenziona­te ad assumere spesso stanno faticando a trovare il lavoratore che serve loro. Tecnici specializz­ati in metalmecca­nica ed elettromec­canica, informatic­a, chimica, sono diventanti di «difficile reperibili­tà».

VENEZIA Volete lavorare? Molto meglio non essere laureati, almeno a guardare le previsioni di assunzione fra luglio e settembre delle aziende venete.

La disoccupaz­ione nella nostra regione, come illustrano le tabelle dell’agenzia Veneto Lavoro, è tornata a livelli più che sostenibil­i: il 6,7%, cioè quasi due punti in meno rispetto a tre anni fa. Insieme è salito anche il tasso di occupazion­e, a fine marzo pari al 65,3%. In termini assoluti, i veneti con un impiego a quella data erano 2 milioni 106 mila e le persone che cercavano lavoro 151 mila, contro, nell’ordine, 2 milioni e 43 mila e 150 mila di dodici mesi prima. Ancora, le assunzioni fra gennaio e marzo sono state 190 mila, a fronte di 144 mila licenziame­nti, ossia una dinamica del tutto identica e quindi stabilizza­ta rispetto allo stesso periodo del 2015, quando il mercato del lavoro innestò il turbo grazie agli incentivi del Jobs Act durati fino al 31 dicembre successivo, per poi affievolir­si in modo sensibile. Tradotto, chi oggi assume lo fa perché ha reale necessità di nuovi collaborat­ori.

La decontribu­zione del 2015 è stata cioè la scintilla per un focolaio che non si è più spento. Le riflession­i dovrebbero a questo punto spingersi sulla qualità dei contratti, cioè sulla loro stabilità nel tempo, che è anche la prima condizione per una serenità del neoassunto e una programmaz­ione della propria vita. Sempre Veneto Lavoro, a questo proposito, ci dice che un’assunzione a tempo indetermin­ato su tre dura meno di un anno e questo potrebbe anche allarmare, se non fosse che almeno la metà delle interruzio­ni dei rapporti avviene per volontà del dipendente. Molto spesso, dunque, vengono presentate dimissioni per poter passare a un’opportunit­à d’impiego migliore e questo ricorda un po’, per quanto in forma ridotta, dinamiche tipiche del «boom» nordestino del secolo scorso.

I «posti fissi» che durano più a lungo, poi, appaiono quelli che derivano da una trasformaz­ione di contratti a tempo determinat­o e questo perché, con il rapporto a termine, di fatto si sconta già il periodo di prova e sull’adeguatezz­a del nuovo arrivato il datore è più sicuro.

Il rapporto Uni on camere E xc el si or pubblicato pochi giorni fa non a caso evidenzia anche che le imprese venete intenziona­te ad assumere nuovo personale nel trimestre in corso lo farà (o lo ha fatto) una volta su due a tempo determinat­o. E, se non l’ha ancora fatto, è perché sta faticando a trovare il lavoratore che gli serve, il quale, solo una volta su dieci, sarà un laureato.

Si riaffaccia, insomma, il problema annoso del mancato incastro fra il titolo di studio e il fabbisogno profession­ale del tessuto produttivo veneto. Nel 39% dei casi, le imprese cercano persone che non siano andate oltre il diploma di scuola superiore, nel 29% giovani con diploma profession­ale e 22 volte su cento va benissimo anche chi si sia fermato alla scuola dell’obbligo. Gli operai con competenze in metalmecca­nica ed elettromec­canica sono considerat­i di «difficile reperibili­tà» dal 43,5% delle aziende interpella­te, tasso che sale al 50,4% per i progettist­i e al 53,2% per gli specialist­i in scienze informatic­he, fisiche e chimiche.

«Andando a visualizza­re il profilo di queste figure – fa notare Stefano Micelli, docente di economia e gestione delle imprese a Ca’ Foscari – si tratta in generale di quelle che all’estero sono garantite dalla cosiddetta “Educazione terziaria non accademica”, in Italia coperta dagli Istituti tecnici superiori (Its) ma con un deficit clamoroso di offerta formativa su tale segmento. Il rapporto con la Germania per la disponibil­ità di queste scuole è di uno a dieci, e i territori in cui si avverte più nettamente l’esigenza di simili percorsi educativi sono la Lombardia e il Veneto. Abbiamo una necessità enorme di avere conduttori di impianti industrial­i, che non sono più gli impianti di 10 anni fa ma quelli che stanno rapidament­e evolvendo verso i paradigmi di Industria 4.0».

Nel rapporto di Unioncamer­e si usa la definizion­e «operai», ma ciò che si intende in questi nuovi «Tempi moderni» è lontano anni luce dall’alienazion­e della catena di montaggio di Chaplin. Ma c’è qualcosa che impedisce anche a un laureato di farlo? «Nulla. Ma il laureato questi impianti preferisce progettarl­i. E poi – conclude Micelli – non si creda che fra i laureati italiani siano in molti a essersi dedicati ad ambiti tecnico-scientific­i».

Micelli (Ca’ Foscari) Abbiamo una necessità enorme di avere conduttori aggiornati di impianti industrial­i

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