Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Gli esperti: «È anche colpa dell’uomo»
PADOVA C’è anche lo zampino dell’uomo nella rivolta della natura che sta flagellando il pianeta. Inverni sempre più caldi e senza neve, estati aride (si stimano finora 500/600 milioni di danni per la siccità che ha devastato le coltivazioni in Veneto), bombe d’acqua (l’ultima a Cortina il 5 agosto, responsabile di una vittima), trombe d’aria e mareggiate. L’abbattimento delle foreste, la cementificazione selvaggia e le sostanze tossiche liberate dagli impianti industriali nell’aria e nell’acqua hanno massacrato il pianeta, ma che abbiano influito o meno sui fenomeni descritti è ancora al centro di accese discussioni tra esperti. C’è però un dato scientificamente rilevante, sul quale convergono climatologi e meteorologi: l’aumento esponenziale di anidride carbonica nell’aria ha liberato una tale quantità di energia da scatenare fenomeni atmosferici estremi. Lo spiega il professor Aldino Boldesan, docente del Dipartimento di Geoscienze all’Università di Padova: «Faccio parte del Progetto Antartide, che studia il paleoclima, cioè analizza la situazione andando indietro di un milione di anni — spiega il ricercatore, che si occupa di cambiamenti climatici —. Secondo questo protocollo, il contenuto nell’atmosfera di anidride carbonica e metano, le sostanze responsabili dell’effetto serra e quindi del riscaldamento del pianeta, ha fluttuato in alto e in basso, mantenendo gli stessi valori minimi e massimi per un milione di anni. Ma dalla rivoluzione industriale quei parametri sono cambiati e oggi registriamo 400 parti di Co2 per milione di particelle nell’atmosfera invece delle storiche 280. E’ un livello di anidride carbonica che la Terra non aveva mai visto prima».
Colpa dell’uomo? «Non è facile affermarlo, però alcune certezze ci sono — sottolinea Boldesan — la temperatura del pianeta è aumentata negli ultimi 150 anni, i ghiacciai hanno subito una riduzione clamorosa e in qualche decina d’anni scompariranno. L’aumento della temperatura mette in gioco maggiore energia, responsabile di eventi atmosferici più pronunciati». D’accordo Marco Monai, meteorologo dell’Arpav: «Sicuramente sul litorale si è abbattuto un Downburst, letteralmente “scoppio verso il basso” di una cascata d’aria fredda che parte dall’alto, spinge in senso longitudinale e può arrivare a una velocità di 150 chilometri orari. Non è escluso che ci sia stata anche una tromba d’aria, o tornado, che è invece un vortice di potenza fino a 400 chilometri orari. Dobbiamo verificare. Fatto sta che questi fenomeni nel Veneto ci sono sempre stati, l’unico tornado di forza F5 sulla scala Fujita resta quello del Montello nel 1930. Bisogna vedere se oggi sono più frequenti, perché con l’aumento della temperatura terrestre si sprigiona maggiore energia, che causa più fenomeni di questo genere».
C’è una spiegazione anche per gli inverni miti e le estati senza pioggia. «Dal 1500 al 1850 viene datata la piccola età glaciale, cioè il periodo del raffreddamento globale, quindi dell’avanzamento dei ghiacciai — spiega il professor Boldesan —. Successivamente è iniziato un progressivo rientro dei ghiacciai, con piccoli avanzamenti tra gli anni ‘60 e ‘80, dentro un quadro generale che nell’ultimo secolo ha evidenziato un ritiro molto pronunciato dei ghiacciai alpini. Questi ultimi sono i termometri della Terra, perché reagiscono molto rapidamente alle variazioni climatiche, con l’inspessimento o la riduzione del loro fronte. Dal 1900 il Comitato glaciologico italiano, di cui faccio parte, alla fine di ogni anno glaciologico, compreso tra il primo ottobre e il 30 settembre successivo, manda volontari in vetta a misurare i ghiacciai». Risultato? «Siamo partiti con mille ghiacciai sul versante italiano dell’arco alpino e negli ultimi vent’anni ne sono spariti centinaia. Altri scompariranno a breve. Tutti si sono ridotti. La Marmolada, il più grande ghiacciaio veneto, in cento anni ha perso il 70% di superficie, i crepacci sono passati da una profondità di 150 metri a una di 7. Altri ghiacciai hanno perso 500/700 metri in lunghezza del fronte. Sono riserve d’acqua straordinarie, rimpicciolendo diventano una minore fonte di alimentazione per i fiumi quando non piove. Diminuisce la quantità d’acqua che alimenta la falda, quindi la ricarica avviene a inizio estate ma non si protrae più avanti».