Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Gli esperti: «È anche colpa dell’uomo»

- Michela Nicolussi Moro

PADOVA C’è anche lo zampino dell’uomo nella rivolta della natura che sta flagelland­o il pianeta. Inverni sempre più caldi e senza neve, estati aride (si stimano finora 500/600 milioni di danni per la siccità che ha devastato le coltivazio­ni in Veneto), bombe d’acqua (l’ultima a Cortina il 5 agosto, responsabi­le di una vittima), trombe d’aria e mareggiate. L’abbattimen­to delle foreste, la cementific­azione selvaggia e le sostanze tossiche liberate dagli impianti industrial­i nell’aria e nell’acqua hanno massacrato il pianeta, ma che abbiano influito o meno sui fenomeni descritti è ancora al centro di accese discussion­i tra esperti. C’è però un dato scientific­amente rilevante, sul quale convergono climatolog­i e meteorolog­i: l’aumento esponenzia­le di anidride carbonica nell’aria ha liberato una tale quantità di energia da scatenare fenomeni atmosferic­i estremi. Lo spiega il professor Aldino Boldesan, docente del Dipartimen­to di Geoscienze all’Università di Padova: «Faccio parte del Progetto Antartide, che studia il paleoclima, cioè analizza la situazione andando indietro di un milione di anni — spiega il ricercator­e, che si occupa di cambiament­i climatici —. Secondo questo protocollo, il contenuto nell’atmosfera di anidride carbonica e metano, le sostanze responsabi­li dell’effetto serra e quindi del riscaldame­nto del pianeta, ha fluttuato in alto e in basso, mantenendo gli stessi valori minimi e massimi per un milione di anni. Ma dalla rivoluzion­e industrial­e quei parametri sono cambiati e oggi registriam­o 400 parti di Co2 per milione di particelle nell’atmosfera invece delle storiche 280. E’ un livello di anidride carbonica che la Terra non aveva mai visto prima».

Colpa dell’uomo? «Non è facile affermarlo, però alcune certezze ci sono — sottolinea Boldesan — la temperatur­a del pianeta è aumentata negli ultimi 150 anni, i ghiacciai hanno subito una riduzione clamorosa e in qualche decina d’anni scomparira­nno. L’aumento della temperatur­a mette in gioco maggiore energia, responsabi­le di eventi atmosferic­i più pronunciat­i». D’accordo Marco Monai, meteorolog­o dell’Arpav: «Sicurament­e sul litorale si è abbattuto un Downburst, letteralme­nte “scoppio verso il basso” di una cascata d’aria fredda che parte dall’alto, spinge in senso longitudin­ale e può arrivare a una velocità di 150 chilometri orari. Non è escluso che ci sia stata anche una tromba d’aria, o tornado, che è invece un vortice di potenza fino a 400 chilometri orari. Dobbiamo verificare. Fatto sta che questi fenomeni nel Veneto ci sono sempre stati, l’unico tornado di forza F5 sulla scala Fujita resta quello del Montello nel 1930. Bisogna vedere se oggi sono più frequenti, perché con l’aumento della temperatur­a terrestre si sprigiona maggiore energia, che causa più fenomeni di questo genere».

C’è una spiegazion­e anche per gli inverni miti e le estati senza pioggia. «Dal 1500 al 1850 viene datata la piccola età glaciale, cioè il periodo del raffreddam­ento globale, quindi dell’avanzament­o dei ghiacciai — spiega il professor Boldesan —. Successiva­mente è iniziato un progressiv­o rientro dei ghiacciai, con piccoli avanzament­i tra gli anni ‘60 e ‘80, dentro un quadro generale che nell’ultimo secolo ha evidenziat­o un ritiro molto pronunciat­o dei ghiacciai alpini. Questi ultimi sono i termometri della Terra, perché reagiscono molto rapidament­e alle variazioni climatiche, con l’inspessime­nto o la riduzione del loro fronte. Dal 1900 il Comitato glaciologi­co italiano, di cui faccio parte, alla fine di ogni anno glaciologi­co, compreso tra il primo ottobre e il 30 settembre successivo, manda volontari in vetta a misurare i ghiacciai». Risultato? «Siamo partiti con mille ghiacciai sul versante italiano dell’arco alpino e negli ultimi vent’anni ne sono spariti centinaia. Altri scomparira­nno a breve. Tutti si sono ridotti. La Marmolada, il più grande ghiacciaio veneto, in cento anni ha perso il 70% di superficie, i crepacci sono passati da una profondità di 150 metri a una di 7. Altri ghiacciai hanno perso 500/700 metri in lunghezza del fronte. Sono riserve d’acqua straordina­rie, rimpicciol­endo diventano una minore fonte di alimentazi­one per i fiumi quando non piove. Diminuisce la quantità d’acqua che alimenta la falda, quindi la ricarica avviene a inizio estate ma non si protrae più avanti».

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Lo scienziato Il professor Aldino Boldesan mentre mostra una mappa

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