Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
AUTONOMIA DUE MESI CRUCIALI
Stiamo scivolando verso il referendum sull’autonomia del 22 ottobre in modo molto politicista. La genericità del quesito che verrà sottoposto agli elettori è necessitata dalla macchinosità delle procedure. Un diffuso e vago sentire favorevole a una maggiore autonomia del Veneto da Roma non si potrà che risolvere in una genericità di consensi. Analizziamo da vicino lo scenario di una forte partecipazione al voto. La macchinosità delle procedure ante referendum è niente di fronte alla macchinosità del dopo. In più il mandato a trattare con Roma che Zaia si aspetta dal voto vedrà un governo in chiusura. Questo stridente contrasto tra le aspettative alimentate dal voto e la complessità delle procedure potrà soprattutto far lievitare pulsioni di tipo indipendentista che, alla luce del vistoso ritorno della statualità per la domanda di sicurezza civile/militare e di protezione sociale, appaiono tanto prevedibili quanto velleitarie. Sono sempre più convinto che l’indipendentismo che circola nelle vene profonde del Veneto, un sentimento sconosciuto in Lombardia, sia direttamente proporzionale al secessionismo del popolo verso le elites dirigenti. Si badi: non solo di quelle romane ma anche venete. Questa frattura è un buco nero che risale agli anni Novanta. Allora la politica democristiana diserta definitivamente da una concezione della politica come governo, snaturandosi nella versione meridionale dell’occupazione del potere.
La tragedia dello snaturamento della politica consiste nel fatto che funzioni dirette e gestioni in house l’hanno intossicata. Così ha abbandonato la sua sublime missione di esercitare il governo per lo sviluppo come opera di tessitura collettiva. Sublime è il governo come «arte di servire» la comunità. Il guaio è stato accresciuto dall’operazione mediatica del racconto del miracolo veneto. Invece di denunciare e incalzare la diserzione della politica, il racconto l’ha fatta sparire in un cono d’ombra, legittimando il solo protagonismo dell’imprenditoria privata, peraltro nella versione più individualista che olivettiana. La posta in gioco è se il referendum può diventare una tappa cruciale in un processo di ricomposizione tra elites di governo e popolo. A questo scopo sarebbe cruciale utilizzare questi due mesi che ci separano dal voto, per trovare delle intese sugli obiettivi e sulle competenze dell’autonomia. Non solo è illusorio chiedere tutto, ma è addirittura sbagliato, denuncia l’assenza di un’idea di governo, appunto. Due sono gli ambiti da cui ha senso cominciare fin da ora a disegnare un percorso istitutivo di autonomia: l’assetto idrogeologico del territorio, che nel riparto statale delle risorse vede il Veneto terribilmente penalizzato (meno del 2%!), ma esso si finanzia solo con spesa pubblica; la filiera della istruzione, formazione e servizi al lavoro dove la regione ha già le risorse umane, la cultura di autogoverno e gli strumenti operativi più congeniali per avere successo.