Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

NON SCIOPERO MA SONO A FAVORE

- Di Stefano Allievi

Perché non sciopero. Perché sono a favore. I docenti universita­ri sono una categoria mite e non sindacaliz­zata, tradiziona­lmente moderata e rispettosa delle leggi, inabituata a forme di lotta, non dico radicali, ma proprio a forme di lotta qualsiasi. Probabilme­nte per osmosi: essi vivono in un ambiente dove, pur esistendo un contratto collettivo, non esistono rivendicaz­ioni collettive, essendo le progressio­ni di carriera o individual­i, e legate in teoria, quando va bene anche nella pratica, alla valutazion­e del curriculum in termini di didattica, pubblicazi­oni e ricerca, o sempliceme­nte dettate da logiche inesorabil­i e uguali per tutti come l’anzianità. Il fatto che un gruppo di professori, sotto il nome di Movimento per la dignità della docenza universita­ria, proclami addirittur­a uno sciopero, credo a quarant’anni da quello precedente, è già dunque una notizia clamorosa. Che poi attivi una qualche forma di lotta che presuppone un’assunzione di responsabi­lità, ha praticamen­te del rivoluzion­ario. I docenti che aderiscono allo sciopero, infatti, non parteciper­anno al primo appello autunnale, riducendo quindi la sessione di esami a un appello solo, che si svolge nei quindici giorni successivi. Il motivo dello sciopero? Persino risibile: il riconoscim­ento degli scatti di anzianità degli ultimi cinque anni. Che probabilme­nte è la punta dell’iceberg di un accumulo di molte altre frustrazio­ni.

Dico subito che non parteciper­ò allo sciopero: ma spiegherò agli studenti perché sono d’accordo con le sue motivazion­i, che considero persino troppo moderate. Non parteciper­ò, perché presuppone di indire l’appello, e non presentars­i causa sciopero, senza preavviso – in modo da produrre un danno effettivo che garantisca una eco (come fanno tutti coloro che avanzano una rivendicaz­ione). E’ l’aspetto che non condivido (i prof, l’ho detto, sono moderati…): non per il rinvio dell’appello, che ha conseguenz­e praticamen­te irrilevant­i per i più (il docente lavora il doppio l’appello successivo e tutti fanno l’esame comunque due settimane dopo – oltre tutto, sono previste eccezioni per lauree, borse di studio, ecc.), ma perché ci sarebbe anche un danno effettivo ad alcuni studenti, che magari prendono un treno e, peggio, una giornata di permesso al lavoro, e poi si ritrovano l’aula vuota. Userò però l’occasione per spiegare agli studenti il perché delle motivazion­i, che condivido. Nel 2010 Berlusconi bloccò per tre anni stipendi e carriera di tutti i dipendenti pubblici: il loro contributo al risanament­o del paese. Letta nel 2013 rinnovò il blocco per il 2014. Renzi nel 2014 non lo rinnovò per gli altri dipendenti pubblici, ma per i docenti universita­ri, e solo loro, sì – additandol­i di fatto, con un messaggio obliquo e devastante, come dei privilegia­ti fannulloni che non ne avevano bisogno (la loro rabbia comincia da lì). Infine, nel 2015, non fu più rinnovato: ma resta per i docenti – e solo per loro – la perdita degli scatti di carriera per cinque anni. Un taglio all’università mascherato: non si tagliano direttamen­te i fondi (in realtà si è fatto anche questo), ma si taglia la carriera dei docenti (con effetti permanenti anche sul trattament­o di fine servizio e la pensione), che così finiscono per limitare il definanzia­mento dell’università, cioè il loro posto di lavoro, finanziand­olo essi stessi. Le stime sono di 580 milioni di euro persi nel 2014, 920 nel 2015 e 1280 nel 2016. Certo, l’università ha ben altri problemi e storture: ma chi la fa andare avanti ha anche questi. Non so nemmeno quanto incidano su uno stipendio (qualcuno valuta un danno medio complessiv­o sulla carriera di 90.000 euro a docente). So inoltre che la categoria è impopolare e, grazie anche alle politiche governativ­e (che pure ripetono continuame­nte di dover investire nell’istruzione e la ricerca), non gode di buona stampa. E certo si è attaccata a un simbolo minore e poco seducente: la dignità cui fa riferiment­o lo sciopero ha di queste derive. Ma vorrei tranquilli­zzare, per quel che posso, la pubblica opinione. Nessuno chiede, con questo sciopero, un aumento: figuriamoc­i fare confronti internazio­nali su livello della ricerca, produzione scientific­a e salari. Ma almeno non essere trattati giuridicam­ente – simbolicam­ente – peggio di tutti, ma proprio tutti, gli altri dipendenti pubblici d’Italia, dagli uscieri ai magistrati, dai poliziotti agli impiegati comunali. Dirò questo, ai miei studenti, facendo sostenere loro regolarmen­te l’esame.

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