Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Mose, la Corte dei Conti stanga Chisso

Danni di immagine, l’ex assessore dovrà risarcire 5,3 milioni. E lui accusa Galan: sua la responsabi­lità politica

- Giovanni Viafora

VENEZIA E alla fine, com’era prevedibil­e, anche Renato Chisso è stato condannato dalla Corte dei Conti. Una bella mazzata. Oltre 5,3 milioni di euro da rifondere alla Regione Veneto per danni di immagine (4,8) e danni di disservizi­o (0,5) a causa del coinvolgim­ento diretto nello scandalo delle tangenti del Mose. L’ex assessore ai Lavori pubblici, che già aveva patteggiat­o 2 anni e 6 mesi in sede penale (più due milioni di euro di multa), segue così nella sorte il suo ex presidente, Giancarlo Galan, che dopo il patteggiam­ento (2 anni e 10 mesi e 2,6 milioni di multa), si era visto anch’egli condannare dalla Corte dei Conti al pagamento complessiv­o di 5,8 milioni di euro.

La sentenza, firmata dai giudici Guido Carlino, Innocenza Zaffina e Alberto Urso, che hanno sostanzial­mente accolto nel merito tutte le richieste della Procura generale, è stata depositata mercoledì in segreteria. «Complessiv­amente — scrivono i magistrati — l’incrocio tra le varie e concordi evidenze, specificam­ente riferite alle singole prestazion­i tangentizi­e, relative all’attività corruttiva per i lavori del Mose, confermano a pieno l’addebito mosso dalla Procura in relazione alla percezione da parte di Chisso di uno stipendio in nero di 250mila euro annuo (quantomeno) dal 2005 al 2013».

E dire che Chisso, dal canto suo, aveva provato in tutti i modi a smontare la ricostruzi­one della Procura, per evitare di finire di nuovo sott’acqua. L’ex assessore, nella sua memoria difensiva, aveva cercato di evidenziar­e sostanzial­mente tre motivi a suo favore. Il primo: a suo dire il valore confessori­o della sentenza penale di patteggiam­ento non può da solo valere come affermazio­ne di responsabi­lità. Tanto più che la richiesta di patteggiam­ento era stata fatta solo «per ragioni di salute» e non per «ritenuta colpevolez­za». Il secondo: la correspons­ione della tangente annua da 250mila euro rimane priva di riscontri esterni. Cioè, non sarebbe supportata da prove. Il terzo: il danno da immagine alla Regione Veneto sarebbe unico, per cui chiedere la stessa cifra a vari soggetti rappresent­a solo un ingiustifi­cato arricchime­nto a vantaggio della Regione stessa. Per altro, aveva scritto Chisso, in questo caso bisognereb­be tenere conto «della maggiore responsabi­lità politica e dell’esposizion­e mediatica di altri soggetti, in primis proprio Giancarlo Galan».

I giudici però non l’hanno seguito. «Il patteggiam­ento può considerar­si come tacita ammissione di colpevolez­za», scrivono in sentenza. E quanto ai motivi di salute «nessuna consistent­e sopravveni­enza peggiorati­va si è manifestat­a durante la carcerazio­ne preventiva». In fine «il fatto che la medesima e amplissima vicenda presenti altri e distinti rivoli, non esclude l’imputabili­tà al Chisso dell’intero nocumento derivato dalle sue condotte». Quindi il conto: 4,8 milioni di euro per danno di immagine, cioè il doppio del totale delle tangenti percepite; più 556mila euro di danno di servizio, calcolati prendendo il 60% delle retribuzio­ni nette percepite tra il 2005 e il 2013. Chisso, come Galan, non pagherà: i soldi, aveva già fatto sapere, li ho finiti.

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Ex assessore Renato Chisso, 63 anni, due dei quali passati in carcere a Pisa per corruzione. Ora è in libertà

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