Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ex popolari, la vendita a prezzi di saldo di Bim mette sotto pressione i conti delle liquidazioni
VENEZIA Ex popolari, la caduta del prezzo di Bim mette già sotto pressione i conti delle liquidazioni. Va ben oltre l’aspetto specifico la questione del prezzo di vendita di Banca Intermobiliare, la controllata piemontese di Veneto Banca specializzata nel private banking. Vicenda tormentata, la vendita di Bim, ordinata già a fine 2013 da Banca d’Italia dopo le ispezioni come soluzione-tampone per rafforzare il patrimonio, ma mai andata in porto, prima con la cordata piemontese bocciata da Bce nel 2014 e poi con la soluzione degli svizzeri di Bsi finita nel nulla un anno dopo.
Ora la vendita dei commissari liquidatori rischia di regalare comunque poche soddisfazioni. L’effetto visibile della situazione sono i crolli in Borsa ( -9,4% martedì, -6,7% l’altro ieri e -0,19% ieri), che hanno fatto perdere in soli tre giorni il 16% al titolo, passato dagli 1,24 euro di lunedì agli 1,04 di ieri, per un valore attribuito dalla Borsa alla banca di 170 milioni. Crolli che segnalano come il mercato stia tentando di allinearsi ai valori che si pensa offerti nella gara di vendita di Bim tra i quattro fondi in corsa - Barents, Warburg Pincus, Attestor e Jc Flowers, con i rumors che darebbero in vantaggio la prima, rispetto alle altre, subordinate a molte condizioni -. Valori che si dicono molto bassi, compresi addirittura, a voler dar retta ad alcune indiscrezioni, tra i 50 e i 100 milioni. Difficile d’altra parte pensare, dopo aver messo in liquidazione Bpvi e Veneto Banca, che le parti che le componevano potessero ottenere, anche solo per motivi opportunistici, valutazioni tanto diverse.
La questione è che la vendita rischia di avere risvolti rilevanti. Bim doveva essere il fiore all’occhiello tra le partecipazioni in vendita. Ed è anche la prima che si realizzerà (e indietro non si torna: Bce ha imposto di vendere entro dicembre), a cui dovrebbe seguire poi Farbanca, la banca dei farmacisti di Bpvi. Capace quindi di dettare i valori di quanto le liquidazioni potranno portare a casa con le cessioni. E la partenza rischia di essere deludente.
Risvolto non da poco rispetto all’attesa generale di quanto potrà rientrare con le liquidazioni, intanto per coprire i 4,8 miliardi di euro, che possono salire fino a 12, che lo Stato ha messo a disposizione di Intesa Sanpaolo per accollarle le parti buone delle venete. La Relazione tecnica del Tesoro depositata in parlamento con il decreto di liquidazione del 25 giugno poi convertito in legge, stimava, sulla base dei dati forniti da Banca d’Italia, di realizzare 1,7 miliardi da partecipazioni ed equity. Valori che rischiano di uscire in prospettiva già ridimensionati al primo test. Mettendo oltretutto ancor più pressione sul modello di gestione che si farà dei crediti deteriorati che dovranno passare alla Sga. Rispetto a cui va registrata l’indiscrezione secondo la quale il piano di gestione delle 80 mila posizioni che saranno ereditate dalle liquidazioni punterebbe ad affidare all’esterno parte dei portafogli. E tra i contattati da Sga come gestori ci sarebbero anche due realtà venete come Ifis e Finint, che potrebbe tornar utile anche nel caso fosse confermata, almeno in parte, la prospettiva di una cartolarizzazione delle sofferenze a cui lavoravano le due banche.
Anche qui l’impegno dichiarato in partenza non è di poco conto. Il Tesoro, sempre sulla base dei dati di Bankitalia, ha messo nella relazione al Parlamento di voler recuperare 9,6 miliard sui 17,3 nominali: 4,2 miliardi sugli 8,9 nominali dalle sofferenze e 5,4 sugli 8,4 nominali dai deteriorati. Con un impegno, tra l’altro, a riportare in bonis un terzo di questi crediti, e quindi per 2,8 miliardi.