Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’AUTONOMIA SENZA BUSSOLA
Visto che ne parliamo da decenni, proviamo a fare una storia dell’autonomia in Veneto. Negli anni ’80 fu istituito l’Ebav, l’ente bilaterale dell’artigianato veneto. Negli anni ’90, Solidarietà Veneto, per la previdenza integrativa. Negli stessi decenni fu lanciata l’idea di Patreve. A fianco, tutto il dibattito su nuovi assetti di Comuni, Provincie, aziende sanitarie ed altro ancora. Dopo trent’anni, il solo risultato riguarda le ULSS, ridotte dalle 36 degli inizi alle 9 di ora. E’ poi “capitato” che Venezia diventasse città metropolitana, per decisione di Roma. Un po’ poco all’attivo: Ebav, Solidarietà Veneto, Usl.
Più cospicuo il passivo. Si doveva fare un grande polo bancario veneto, già con Antonveneta. Si doveva fare un grande polo fieristico veneto. Si doveva fare una grande multiutility veneta. Si doveva fare un grande polo autostradale veneto. Nulla è stato fatto. Neppure evitare i disastri. Ed il gioco ormai si gioca altrove. Fuori dal Veneto dell’autonomia. Abbiamo, è vero, un grande polo aeroportuale, incardinato su Venezia. Ma è grande, molto grande. Più grande di noi? Si vedrà. Al netto dunque dei pochi attivi e dei molti passivi, tutto il resto è rimasto com’era. Con una bella differenza: agli inizi i poteri erano reali e, in qualche modo, federati. Le rappresentanze amministrative e sociali dei capoluoghi contavano, eccome! Contavano nelle loro città e provincie, contavano in Regione, contavano anche a livello nazionale. E il Veneto delle istituzioni, non solo delle imprese, contava. Per chi ha memoria, non c’è paragone con la situazione d’oggi. Si pigli Vicenza: il Sindaco poteva contare su una Fiera internazionale, su una municipalizzata, su una primaria banca, su una ricca Camera di Commercio, su solide rappresentanze sociali. Oggi è rimasto il Sindaco, con i “resti” della Provincia. Ed anche: il Governatore del Veneto poteva contare su banche, fiere, autostrade, solide Camere e ricche municipalizzate. Oggi, sarà un caso, batte cassa su Roma.
Nella storia, infine, bisogna mettere conto quali strade sono state battute per arrivare a tanto, a tanto poco. Credo si possa convenire che è stata battuta la strada del federalismo dal basso: è stata praticata dai poteri locali, è stata pensata nelle teorie distrettuali, ha trovato anche una rappresentazione politica nel movimento dei sindaci. Se è stato così, e il risultato è così poco, il federalismo dal basso ha fallito. Ma andando in alto, è un fatto che nessuna struttura regionale dispone oggi di una qualsiasi ipotesi sul Veneto.
Non Forza Italia, per altro la meno federalista di tutti. Non i 5Stelle, che confermano di essere un movimento solo nazionale. Non le forze sociali, alcune completamente ferme (Cgil), le altre in ordine sparso (la Cisl veneta ha unito Padova con Rovigo e Treviso con Belluno, mentre Confindustria Veneto osserva: ieri le liti di Venezia e Padova su Rovigo ed oggi la marcia di Padova con Treviso). Non soprattutto la Lega Veneto: non ha mai detto quante e quali Provincie o aree vaste, quante e quali aggregazioni di Comuni, non ha mai dato un orientamento alla società. Non la Lega, che pure ha le maggiori responsabilità per vocazione federalista e ruolo di governo. Ma è la stessa situazione del Partito Democratico del Veneto, che pure ambisce ad essere l’alternativa di governo. Non c’è una mappa e neppure una bussola, per il Veneto di oggi e di domani. A meno di non considerare quanto ormai si pensa altrove e si respira qui: «ultima periferia est di Milano». Fine della storia?