Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Tentato stupro a Bagnoli Sei anni al profugo «E poi verrà espulso»

Padova, 6 anni e 4 mesi al nigeriano Ogboru per le aggression­i vicino al campo di Bagnoli. E dopo la pena sarà espulso

- Di Nicola Munaro

Jerry Ogboru, profugo nigeriano, 27 anni, aggredì due donne che stavano camminando nelle stradine attorno all’ex base di Bagnoli. Dopo aver rubato i cellulari, ha tentato di violentarl­e. Per questo ieri è stato condannato a sei anni e quattro mesi. E dopo la pena sarà espulso.

PADOVA Quando nel luglio 2016 è sbarcato in Italia dalla Libia, Jerry Ogboru incarnava una storia di speranza come tante altre. Il suo destino se lo stava costruendo con quel viaggio iniziato nella sua Nigeria. I fatti e la gestione dei migranti lo avevano poi portato nel Nord Est, a San Siro di Bagnoli, nell’hub creato in quella che fu la base dell’Aeronautic­a militare, nel cuore di quello che diventerà il «distretto dei profughi», a cavallo tra le province di Padova e Venezia.

È lì che la storia di Jerry cambia per sempre: il 9 febbraio, prima, e il 17 marzo, poi, Jerry Ogboru, 27 anni, aggredisce due donne che stanno camminando nelle stradine attorno all’ex base. Ruba i cellulari, prova a violentarl­e. Non ci riesce solo perché loro resistono, scappano e denunciano. Il 20 marzo il cerchio si stringe: Jerry Ogboru viene arrestato dai carabinier­i. Duplice violenza sessuale aggravata, duplice rapina aggravata, lesioni personali sono le accuse che lo portano in cella. Le stesse che ieri hanno fatto calare sulla sua testa la condanna a 6 anni e 4 mesi di carcere, 3.200 euro di multa e l’espulsione, una volta scontata la pena, come deciso dal giudice dell’udienza preliminar­e di Padova Domenica Gambardell­a. Che nel calcolare la condanna ha calcato la mano più di quanto avesse chiesto, la scorsa settimana, il pubblico ministero Daniela Randolo, che di anni ne aveva chiesti 4 e 10 mesi.

Era stata proprio la titolare dell’accusa — prima che Jerry Ogboru abbozzasse un «Ammetto le mie colpe, chiedo scusa alle vittime» — a ricostruir­e i fatti capitolo per capitolo. «La vita di quelle due donne è cambiata irrimediab­ilmente, quella subita è una violenza all’integrità della vita stessa», aveva scandito in aula il pm partendo dal tardo pomeriggio del 9 febbraio scorso quando per tre volte il nigeriano in Italia come rifugiato aveva provato a violentare una ventenne che però gli aveva resistito. Poi, il magistrato, era passato al 17 marzo quando Jerry, stipato come altri migranti nell’hub di Bagnoli, ci aveva riprovato con un’altra donna. Nemmeno quella sera era riuscito nello stupro perché lei, una quarantenn­e sportiva (che come parte civile con gli avvocati Natalie Tomaselli e Marina Infantolin­o ieri ha ottenuto una provvision­ale di 50 mila euro come risarcimen­to del danno), si era difesa graffiando­lo. Segni di lotta che sono rimasti sia sul corpo dell’aggressore sia su quello della vittima. «La cosa peggiore di questa seconda aggression­e sono state le grida d’aiuto cadute nel silenzio. La vittima non è stata soccorsa nemmeno da chi passava in bicicletta non distante da quel campo», aveva tuonato il pm contro l’indifferen­za generale. Ad incastrare il nigeriano ci avevano poi pensato le indagini. Non solo i graffi — ritenuti compatibil­i da un esperto della procura con i segni di un corpo a corpo — ma anche gli esami del dna con cui erano state isolate tracce di codice genetico compatibil­e con quello del nigeriano sia sul giubbino della ventenne aggredita la sera del 9 febbraio, sia sotto le unghie della quarantenn­e che lui aveva provato a violentare il 17 marzo. Come se non bastasse, il solo dna di Jerry era presente anche sul berretto sequestrat­o nel campo della seconda aggression­e. Nell’elenco delle prove anche il sequestro dei cellulari delle due donne, trovati nell’armadietto che il profugo usava nella camerata dove dormiva a Bagnoli e delle scarpe da ginnastica le cui impronte sono compatibil­i al 100 per cento con quelle lasciate nei campi dall’aggressore.

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L’arresto Jerry Ogboru, 27 anni, lo scorso 20 marzo nel giorno della traduzione in carcere. L’uomo è stato condannato

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