Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Cervelli in fuga, ma non solo: quasi 12mila emigrati in un anno «Il punto dolente? Il non ritorno»

- Martina Zambon © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ricercator­i

Tra le categorie più rappresent­ate tra gli espatriati c’è quella dei ricercator­i universita­ri VENEZIA C’è chi arriva a chiamarla «predisposi­zione genetica». Complice forse il vento autonomist­a pre referendum, qualcuno scomoda la vocazione al viaggio che ha intessuto la storia della Serenissim­a. Di fatto, lo stillicidi­o che ha portato nel 2016 quasi 12mila veneti a emigrare sempre più spesso è motivato da una scelta che, dato inedito emerso dall’indagine curata dalla Fondazione Migrantes, coinvolge interi nuclei familiari. Partono insieme il figlio ricercator­e e i genitori in pensione. «Fanno bene soprattutt­o i giovani ad andarsene — dice Giancarlo Corò, economista di Ca’ Foscari — se c’è un problema è al contrario: non siamo più una terra in grado di attrarre o valorizzar­e i nuovi ingressi che vengono percepiti come negativi». Un po’ di numeri, 11.611 sono i veneti partiti con un biglietto di sola andata nel 2016 facendo vincere alla Regione la medaglia d’argento dopo la Lombardia. Si parte da Nord, dalle due regioni locomotiva d’Italia, il dubbio che sia per scelta e non per necessità è legittimo. E al tredicesim­o posto fra le città natali degli «expat» sopra i 100mila abitanti c’è Venezia, al sedicesimo Padova seguita a ruota da Verona. La palma di primo comune veneto per iscritti al registro degli italiani all’estero va a San Vito al Tagliament­o. La provincia da cui si parte di più è Treviso seguita da Vicenza. «È un fenomeno double face — spiega il sociologo Vittorio Filippi — da un lato chi parte per necessità dall’altro chi sceglie un luogo in cui spendere al meglio i propri talenti. Il punto dolente è il mancato rientro, un danno al cubo: economico, formativo e demografic­o per la regione». Si prepara la proverbial­e valigia col cuore più leggero fra voli low cost e videochiam­ate, partire è più facile e tornare più difficile proprio grazie a una tecnologia che attutisce la nostalgia.

«Un adagio noto agli antropolog­i — conclude Filippi — recita: “chi scambia cambia”. Se ci fosse il rientro sarebbe un reciproco fecondare di competenze ed esperienze». Il «rientro che non c’è» è il leitmotiv di questa nuova emigrazion­e. «I giovani all’estero dovrebbero essere molti di più — chiosa Paolo Zabeo della Cgia — il dramma è che non tornano più. Lombardia e Veneto sono terra di export, c’è un brodo di cultura positiva ma se restano all’estero diventano un costo per la collettivi­tà mentre altri paesi ne godono i frutti». Per Corò «serve una circolazio­ne di cervelli, indipenden­temente siano veneti o no». Per Elena Donazzan, assessore regionale alla formazione «alcuni profili come gli architetti cercano mercati più disponibil­i ma altre figure profession­ali scelgono di andare liberament­e. Il tema del rientro invece richiede un taglio alla pressione fiscale sulle imprese e un lavoro sulle politiche per il rientro è proprio ciò che stiamo facendo con l’università di Padova». Stefano Solari, presidente della Fondazione Leone Moressa fa notare che «ci sono nuove criticità, basta pensare ai dipendenti delle banche. La crisi non è solo calo del reddito, oggi è più crisi da rimescolam­ento dei settori e delle competenze».

Filippi Da un lato c’è chi parte per necessità, dall’altro per spendere meglio i propri talenti

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