Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Ci nascosero le baciate» «No, Bankitalia sapeva» La doppia verità sulle venete
Bpvi e Veneto Banca, i dubbi su via Nazionale emersi con le inchieste
VENEZIA La nota è del 27 ottobre 2015, su carta intestata Banca d’Italia: «Negli anni, Popolare di Vicenza è stata sottoposta a un’intensa attività di vigilanza, anche mediante numerose ispezioni (sette nell’ultimo decennio) che hanno riguardato vari aspetti,tra cui l’area finanza, l’area credito, la trasparenza, l’antiriciclaggio...».
Dunque, sette ispezioni dal 2005 in poi. Eppure, nell’informativa con la quale la guardia di finanza ha chiuso l’indagine sul crac della Vicentina, si legge che le operazioni baciate «erano presenti in Bpvi già dal 2009». E allora, nei giorni in cui il governatore Ignazio Visco si trova alle prese con lo scontro politico seguito alla mozione presentata dal Pd, in tanti tornano a chiedersi come mai agli 007 di Bankitalia sia sempre sfuggita (almeno fino al 2015) quella che era diventata una prassi per l’istituto di credito: concedere finanziamenti per l’acquisto di azioni senza scomputarli dal patrimonio di vigilanza. Lo stesso fenomeno che ha inguaiato Veneto Banca.
Per entrambe, i magistrati non hanno rilevato responsabilità da parte di Palazzo Koch. Ancora la Guardia di finanza: «Bpvi ha occultato a Banca d’Italia l’intenzione di realizzare gli aumenti di capitale attraverso la concessione di finanziamenti correlati». E al Corriere Veneto, il procuratore di Vicenza Antonino Cappelleri, assicura che «se gli organi di vigilanza non sono indagati è evidente che il motivo sta nel fatto che non sono emersi elementi che facciano ipotizzare una loro responsabilità».
Insomma, gli ispettori hanno fatto il loro lavoro fino in fondo, e se non hanno mai scoperto le irregolarità che avvenivano nelle banche è solo perché i manager hanno mentito. C’è però chi dà una lettura molto diversa. Claudio Ambrosini è stato interrogato dagli inquirenti vicentini perché nel 2012 era il direttore dei crediti ordinari. Racconta di aver consegnato all’ispettore Gennaro Sansoni la documentazione relativa a una baciata da 21 milioni di euro e di aver poi chiesto al suo superiore, Paolo Marin, qual era stata la reazione dei «vigilanti» alla vista delle carte. «Marin mi disse che aveva rappresentato a Scardone (Giampaolo, a capo del team ispettivo mandato a Vicenza nel 2012, ndr) che le posizioni sopra indicate erano caratterizzate dall’impiego del finanziamento, nel giro di pochi giorni, per l’acquisto di azioni Bpvi per un importo corrispondente al fido medesimo, ma Scardone aveva commentato che si trattava di una prassi diffusa tra le popolari e che per Bpvi si trattava di un fenomeno non rilevante, che non destava preoccupazione».
Quindi, secondo alcuni funzionari dell’istituto di credito, Bankitalia sapeva almeno dal 2012. L’ha detto anche lo stesso Marin, che risulta (con l’ex presidente Gianni Zonin e l’ex amministratore delegato Samuele Sorato) tra gli indagati per ostacolo all’attività degli organi di vigilanza: «Nel 2012 ho fornito agli ispettori, in assoluta serenità, qualsiasi informazione fosse in mio possesso, compresa una lista, che io e i miei collaboratori abbiamo a più riprese discusso con gli ispettori, dei principali soggetti affidati e del numero di azioni della Banca da loro acquistate attraverso i finanziamenti».
La domanda resta: perché Bankitalia nel 2013, in otto mesi di ispezione, ribalta come un calzino Veneto Banca scoprendo 157 milioni di operazioni baciate, e sei mesi prima non «vede» quelle fatte da Popolare di Vicenza, che appena tre anni dopo avrebbero raggiunto quota un miliardo?
Scardone, interrogato il 3 febbraio 2016, assicura: «Escludo che esponenti Bpvi con cui si è relazionato il gruppo ispettivo abbiano comunicato durante l’ispezione 2012 l’esistenza» di baciate o delle lettere che impegnavano la banca al riacquisto delle azioni di investitori privilegiati.
Quindi forse ai manager vicentini era stato sufficiente «non comunicare» ai controllori di aver commesso un reato, perché il reato non venisse alla luce. I trevigiani di Veneto Banca, invece, non furono altrettanto fortunati (o abili).
Chi certamente sa molto, è Massimo Bozeglav, capo dell’Audit di Bpvi dal 2008 al 2016. Gianni Zonin lo accusa di avergli
Le tesi opposte Gli ispettori: «A Vicenza nulla ci dissero nel 2012» Ma i dirigenti in banca: «Le avevamo ammesse»
nascosto l’esistenza delle irregolarità e lui, in un’intervista, ribatte che «è stupefacente che affermi di non saperne nulla: Zonin era il presidente del Cda e quando i finanziamenti erano di importo rilevante, la pratica di fido veniva deliberata dal Consiglio. Bastava girare la prima pagina e si poteva agevolmente desumere che il prestito era finalizzato all’acquisto di azioni». Ma alla domanda se Bankitalia sapesse delle baciate prima dell’ispezione della Bce del 2015, Bozeglav si barrica dietro a un «non voglio rispondere. La magistratura ha già acquisito i rapporti dell’Audit: lì c’è tutto ciò che avevo scoperto».