Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ben vengano un arbitrato e una camera di mediazione per distinguere le posizioni
La notizia è di quelle attese (e auspicate) da tempo. Che attraverso un emendamento alla legge di stabilità si preveda lo stanziamento di un fondo di (almeno) 150 milioni di euro a favore degli ex azionisti delle banche venete - da spalmare nell’arco di tre anni – significa anzitutto rompere il silenzio. Sì, perché l’entità del fondo è in sé ben poca cosa rispetto al «Vajont finanziario» di cui stiamo trattando. Ma almeno sembra superata la posizione sostenuta dal Ministro dell’Economia nell’immediatezza dei fatti: si disse allora che i conti correnti sarebbero stati salvati, però per gli investitori-azionisti, che erano entrati nel gioco del capitale di rischio, nulla si sarebbe potuto fare. Si tratta di una posizione che a livello generale (direi quasi di nozioni basilari di un manuale giuridico) potrebbe pure ritenersi incontestabile (e, politicamente, forse allora era difficile dire di più), se non fosse che qui la vicenda è assai più intricata. Ma tant’è, ora il muro sembra infranto.
Dunque, stando così le cose, il punto è quello relativo alle modalità con cui procedere. E qui il discorso si fa di non banale impostazione tecnicogiuridica. Prima di toccare questi aspetti, credo sia però utile evidenziare una connessione – logica prima che cronologica – tra la notizia di ieri, in punto di ristoro degli ex azionisti, e l’andamento delle audizioni in sede di Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. La discrepanza tra le versioni dei due soggetti della vigilanza (su cui al momento sembra tanto prematuro quanto inopportuno prendere posizione) evidenzia almeno un dato: se un’adeguata condizione di conoscibilità del mercato non era propria neppure di Consob e Bankitalia – o per lo meno lo fu con lacune e ritardi – come si può presupporre che in quella condizione fossero gli investitoriazionisti? Se lo si può presupporre, per l’appunto, è solo sulla base di una pagina di manuale giuridico, però presto contraddetta da un’analisi appena un po’ più attenta della situazione reale.
Ciò equivale a dire che lo scenario generale conforta sempre di più l’idea che i diritti risarcitori avanzati dagli ex azionisti siano fondati; e un ordinamento deve assicurare l’effettività della tutela giuridica. Dunque la scelta di procedere all’individuazione di forme di ristoro appare oggi pressoché obbligata. Allora il tema – come dicevo – diventa quello di individuare le più corrette modalità tecnicogiuridiche d’intervento. A tal proposito, poco si conosce dell’emendamento di cui da ieri si discorre, eppure si può forse già esprimere qualche considerazione.
Schematicamente: 1) ben venga l’idea di discernere le singole posizioni degli ex azionisti, istituendo una camera arbitrale: già ai primi di luglio chi scrive lo aveva suggerito, magari assieme a una camera di mediazione, secondo un modello med-arb (mediation-arbitration, dunque un modello a “progressione di contenzioso” dalla conciliazione all’arbitrato vero e proprio); 2) corretta appare l’idea di attingere risorse dal Fondo interbancario: anche questo era stato suggerito da tempo, non foss’altro sulla scorta della considerazione che l’azionista di una banca cooperativa non quotata non è in posizione così dissimile rispetto a quella di un obbligazionista subordinato (tema complesso, che andrebbe più correttamente analizzato con una lente di osservazione dei fenomeni “europea”, anziché italiana); 3) qualche dubbio in più suscita l’idea di attingere dal ricavato della liquidazione coatta amministrativa senza violare la par condicio creditorum, ma – se ho ben inteso – su ciò sembra che s’intenda intervenire chirurgicamente a livello legislativo, concentrandosi sul ricavato dei NPL.
Insomma, di certo non sono poche le technicalities da affrontare. Ma intanto ben venga la sostanza della notizia: il muro è abbattuto e si sta lavorando al progetto, ed è già qualcosa.