Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Il dolore, le grida e la speranza delusa Ma la mia Carlotta si poteva salvare»
Lettera del papà della bimba uccisa da un virus raro. Le accuse ai medici
FIESSO D’ARTICO (VENEZIA) «Per tutta la vita non mi darò pace, se solo avessi avuto il coraggio di portarti via per tempo forse avremmo potuto festeggiare assieme il nuovo anno». A meno di una settimana dalla morte di Carlotta Trevisan, la bambina di Fiesso D’Artico (Venezia) uccisa dalla sindrome emolitico-uremica dopo mesi di ricovero ospedaliero, il padre Umberto sceglie di raccontare la sofferenza della figlia, e di tutta la famiglia, in una lunga lettera. Un resoconto duro, a tratti disperato e spesso arrabbiato, della prova più difficile che possano attraversare due genitori. Dalle notti passate al capezzale della bimba, «che non era più lei», alle ore in attesa di una qualsiasi notizia, nei divanetti delle sale d’attesa o sui sedili dell’auto. Fino agli ultimi giorni, quando la principale preoccupazione di tutti era diventata solo quella di non fare soffrire oltre Carlotta, che già a inizio dicembre non era più collegata alle apparecchiature per la dialisi ma che nei cuori di mamma e papà stava ancora lottando.
Il ricovero della bambina non è stato solo un percorso in inesorabile discesa; quando i dolori erano troppo forti le urla di Carlotta «squarciavano il reparto, giorno e notte», ma a settimane di distanza la bimba di 9 anni era sembrata migliorare: «Neurologicamente qualcosa era cambiato, riconosceva le nostre voci e cominciava a piangere lacrime non di dolore ma di consapevolezza – scrive Trevisan - Abbiamo girato un video in cui Carlotta rideva con tutto il viso, singhiozzando con il fratellino che, chiamandola, la svegliava. Con gli occhi seguiva la luce, la mattina stiracchiava il corpo completamente e cominciava a muovere la testa, stringeva la mano e la rilasciava, con due tipi di gemiti ci faceva capire quello che gradiva e quello no, si calmava ascoltando musiche e fiabe». Un’altalena di speranze e disperazione, continuata fino a quando i medici hanno deciso di interrompere la dialisi: «Carlotta ha resistito un mese, poi il suo corpo ha cominciato a cedere, sembrava respirasse a fatica, e pure io sentivo il suo affanno. Abbiamo capito che mancava poco e che, come gia` anticipato, sarebbe stata sedata per non sentire la morte che la portava via».
Inevitabili i rimpianti, che non risparmiano neppure i medici di Dolo e di Padova, i primi giudicati colpevoli di una diagnosi tardiva, i secondi di non aver fatto tutto il possibile: «Carlotta si poteva salvare, con danni limitati se non nulli? Sì, si poteva fare molto», assicura papà Umberto. Ma dai reparti di Pediatria i pareri sono univoci: «Si trattava di una rarissima patologia, determinata da un batterio in grado di produrre una potente tossina capace di provocare danni renali e cerebrali, ed è stato quindi deciso di trasferire immediatamente la paziente presso la terapia intensiva pediatrica di Padova, quale centro specializzato. Un ricovero anticipato non avrebbe comunque modificato il decorso», garantisce il primario del reparto di Dolo, il dottor Luca Vecchiato. Anche il dottor Giorgio Perilongo, da Padova, ribadisce la stessa posizione: «Non posso che fare un plauso a tutto lo staff del mio reparto: hanno fatto tutto quello che era in loro potere, sia dal punto di vista medico che umano».