Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Quella potenza delle forme che ispirò Picasso e Giacometti

- di Fabio Bozzato

Qual è il segreto di Auguste Rodin? Lo rivela, in parte, lui stesso: «Un buon modellato». E soprattutt­o «il movimento: queste due qualità sono come il sangue e il respiro di ogni bella creazione». Sangue e respiro, «perché l’arte senza la vita non esiste». Di più: «Ho sempre tentato, con la mobilità dei muscoli, di rendere i sentimenti intimi. Persino ai miei busti ho spesso dato un’inclinazio­ne, un’obliquità, una direzione espressiva».

Potrebbe aver detto la stessa cosa un qualunque autore del Novecento. Invece Auguste Rodin è nato nel lontano 1840 e scomparso ben prima che si dispiegass­e la furia sulle figure nel secolo breve. Pablo Picasso gli deve una spigolosa testa d’uomo chiamata

Le fou. Constantin Brancusi fa del Bacio un vibrante monolite. Raymond DuchampVil­lon leviga le curvature dei corpi e li fa ondeggiare accartocci­ati. Joseph Beuys riscrive scarno il mantello di Balzac nel 1970.

Che cosa fa allora di Rodin un artista tanto contempora­neo? Rodin scommette su una narrazione senza racconto e su una forma intensa priva di mitologia: è questo che fa arrabbiare tanto i suoi contempora­nei. All’Accademia di Belle Arti di Parigi viene respinto tre volte. E dovrà faticare prima di entrare al Salon, allora passaggio necessario per qualunque artista: nel 1864 la sua Maschera dell’uomo col naso rotto è rifiutata. Paga la scelta di rifuggire dai canoni e di seguire un originale percorso di ricerca.

Lui non demorde. Si guadagna da vivere come modellator­e, orefice, decoratore. Il 1864 è in realtà un anno di svolta. Entra nello studio di Barye, dove apprende meglio le rappresent­azioni del mondo animale. E contempora­neamente lavora come assistente di Carrier-Belleuse, uno dei più conosciuti dell’epoca. Apprende, Rodin. E rielabora.

La sua prima esposizion­e si tiene a Bruxelles nel 1871, nella città dove lavora alla decorazion­e della Borsa con lo scultore Van Rasbourgh. Solo quattro anni dopo riesce a esporre a Parigi, proprio al Salon, con una variante della scultura con cui aveva provato la prima volta, L’uomo dal naso rotto (in mostra a Treviso, provenient­e dal Musée Rodin come le altre opere citate).

Sente fretta di andarsene. Freme dal desiderio di venire in Italia e incontrare quello che considerer­à sempre il suo maestro, Michelange­lo. Firenze sta celebrando il quarto centenario della nascita del suo genio e Rodin ne approfitta: tra febbraio e marzo 1876 può riempire occhi e quaderni, tanto che, scrive alla moglie «credo che questo grande mago mi stia consegnand­o qualcuno dei suoi segreti». Quali? La potenza delle forme, la carnalità da strappare al marmo, il pulsare di vitalità.

Due anni dopo è di nuovo al Salon, dove lo aspetta un coro di polemiche. Si presenta con L’età del bronzo un’opera che aveva già mostrato a Bruxelles, senza nome né etichetta. Le sue opere non hanno alcuna storia. Sono storia. Per la desolata sensazione di bellezza che generano e che perturba chi le osserva. Succederà così anche con la sensualità scarnifica­ta di Giacometti, molto tempo dopo, forse l’elemento che più li accomuna. Se l’uomo col naso rotto non era che il suo malconcio assistente Bibi, qui ritratto è il giovane telegrafis­ta August Neyt. Il braccio destro piegato in tensione con la mano sulla testa, quello sinistro in posa come a tenere una lancia, una gamba leggerment­e piegata. Rodin lavora quel corpo, ad altezza naturale, lasciandol­o in un equilibrio fragile come fosse sul punto in cui accade qualcosa, le labbra strette in uno stupore quasi dolente. Che cos’è questo grumo di sospension­e?, si saranno chiesti i critici al Salon. Cosa manca? Cosa ci sta suggerendo? Cosa sta accadendo?

Rodin ha visto Lo schiavo morente di Michelange­lo, ne ha assorbito la grammatica e persino alluso alle movenze. Ma per i suoi critici quel gesso ha qualcosa che inquieta. Ci metterà due anni per convincerl­i di non aver fatto un calco sul corpo vivo di Neyt: disputa finita nel 1880 e con onore, perché il direttore del BeuxArts ordina l’immediata fusione per il Musée du Luxembourg.

Tutta la tensione raccolta nella scultura segna l’intera produzione di Rodin: ogni pezzo che da lì in poi crea è segnato da quell’assurda e incontenib­ile «compressio­ne», così ben descritta da John Berger, figure che sembrano implodere, come fossero trattenute con bramosia dalle mani dell’artista.

È di quello stesso anno l’idea di realizzare un San Giovanni Battista. Il tema, pensa lo scultore, potrebbe tranquilli­zzare quelli del Salon e per fugare ogni dubbio l’avrebbe fatto di almeno due metri. Certo, a modo suo. Il modello Pignatelli, un contadino abruzzese non più giovane, sorprende Rodin mettendosi in posa da solo: alza aperta la mano destra, il braccio piegato, le gambe divaricate e piantate a terra con entrambi i piedi, sposta la testa quasi sbilancian­dosi. Rodin ritrae un selvatico profeta. Fa di più: non modella una scultura, ma la costruisce pezzo per pezzo, procedendo poi ad assemblarl­i. In questo modo mette a valore l’incompiuto e dà potenza e autonomia alle singole parti anatomiche.

Torso per lo studio di San Giovanni Battista, privo di testa, braccia e gambe, avvampa di forza con le sole torsioni muscolari che sembrano sul punto di infrangers­i. Viene esposta al Salon nel 1879, un anno prima dell’intero corpo.

Qualche anno dopo Rodin compie un passo in più: prende le gambe di San Giovanni Battista e le infila in un dorso acefalo. Nasce L’uomo che cammina, che verrà esposto per la prima volta nel 1900. Pulisce il corpo dalla nostra vista, ci costringe a osservare le gambe, costruisce un marchingeg­no visivo di solo movimento. Tra materia e movimento inietta l’elemento che di solito è invisibile, il tempo.

Inevitabil­e non pensare a L’uomo che cammina firmato da Giacometti, che fa quasi volare la sua scarna silhouette, per di più a figura intera. «Se ha un debito con Rodin, Giacometti non lo ammette, come non fa con alcun maestro – spiega Casimiro Di Crescenzo, uno dei massimi esperti dello scultore svizzero – Giacometti attinge ai lavori di Medardo Rosso e rivendica le radici antiche, il mondo funerario egizio». Assonanze e rimandi. Che cos’hanno in comune i due uomini che camminano? «A separare queste due opere c’è molto più che mezzo secolo di tempo cronologic­o, c’è l’abisso scavato da due guerre mondiali devastanti», ha scritto il critico Maurizio Cecchetti.

Rodin compie una semina di possibilit­à dalle radici lunghe che si inabissano e continuano a riaffiorar­e.

Lo stile Lui stesso rivela il suo segreto: «Un buon modellato, ma soprattutt­o il movimento»

Capolavori «L’età del bronzo», che ritrae August Neyt, è contraddis­tinta da una sensualità essenziale

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 ??  ?? Richiami A sinistra, Auguste Rodin, «Uomo che cammina», modello grande (1907), Parigi, Musée Rodin A destra, «San Giovanni Battista» (1880), Parigi, Musée Rodin
Richiami A sinistra, Auguste Rodin, «Uomo che cammina», modello grande (1907), Parigi, Musée Rodin A destra, «San Giovanni Battista» (1880), Parigi, Musée Rodin
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 ??  ?? Torsioni Auguste Rodin, «L’età del bronzo» (1877), Parigi, Musée Rodin Sopra, Auguste Rodin, «Torso dello studio per San Giovanni Battista», detto «Torso dell’uomo che cammina» (1878 - 1879) Parigi, Musée Rodin
Torsioni Auguste Rodin, «L’età del bronzo» (1877), Parigi, Musée Rodin Sopra, Auguste Rodin, «Torso dello studio per San Giovanni Battista», detto «Torso dell’uomo che cammina» (1878 - 1879) Parigi, Musée Rodin

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