Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La scheda
Lo scrittore Rainer Maria Rilke (Praga 1875-Valmont, Montreux, 1926) è uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo, autore delle «Elegie duinesi», i «Sonetti a Orfeo», «I quaderni di Malte Laurids Brigge». Dedicatosi agli studi umanistici, si trasferisce da Praga a Monaco, poi a Berlino. Nel 1897 è in Italia, dove tornerà più volte. Incontra la scrittrice e psicoanalista Lou AndreasSalomé, con cui intreccia un legame intellettuale e affettivo; con lei si reca in Russia e conosce Tolstoj. Nel 1900 si stabilisce a Worpswede (Brema) in una comunità di artisti di cui faceva parte la scultrice Clara Westhoff, che sposa
Nel 1902, dopo essersi separato, approda a Parigi; è segretario privato di Rodin per circa tre anni e scrive un volumetto sullo scultore, contenuto nel catalogo della mostra trevigiana
Tra il 1910 e 1913 viaggia in Nordafrica, Spagna e soggiorna al castello di Duino dalla principessa von Thurn und Taxis. Durante la guerra è a Monaco, poi in Svizzera. Muore nel 1926
«Un giorno si capirà ciò che ha reso grande questo artista: il suo essere un lavoratore con l’unico desiderio di penetrare totalmente, con tutte le forze, nell’essenza umile e severa del suo strumento. C’era, in questo, una sorta di rinuncia alla vita; Rodin riuscì invece a conquistarla proprio in virtù della sua grande pazienza: perché a quello strumento si piegò il mondo». Sono queste le parole a chiusura del saggio che Rainer Maria Rilke dedicò a Rodin alla fine del 1902. Ma dire soltanto saggio sarebbe limitarne la forza, quel meraviglioso strato poetico che introduce ai versi del Malte e delle Neue Gedichte, ciò che corre insomma lungo tutto il primo decennio del secolo appena sbocciato. Rilke incontra lo scultore in quel 1902, e prima di arrivare da lui a Parigi così gli si rivolge in una lettera: «Onorato maestro, l’occasione di scrivere sulla vostra opera rappresenta per me una vocazione interiore, una festa, una gioia, un grande e nobile compito a cui sono tesi tutto il mio zelo e tutto il mio amore».
Rilke in quel momento sembra essere alla ricerca di un suo nuovo punto d’identità, desiderando la guida che soltanto un anno prima si era infine rifiutata di essere Lou Andreas-Salomé, come si legge nel suo epistolario.
L’appoggiarsi a Rodin colma questa lacuna interiore, che molto ha a che fare con la necessità di entrare in un mondo che susciti visioni e suggestioni, e divenga infine parola. E attraverso la giovane scultrice Clara Westhoff, allieva nel 1899, nel suo tempo d’inizio, di Auguste Rodin, e nel 1902 da poco moglie del poeta, Rilke si accosta al grande maestro. Non a caso il testo è dedicato proprio a lei.
Le citazioni che corrono lungo tutto lo scritto rilkiano, e che hanno in Baudelaire un centro comune a entrambi quanto a preferenza e amore – e si pensi a come Rodin inserisca poco per volta il profumo dei Fiori del male nella Porta dell’Inferno –, richiamano l’idea, e ancor di più il senso, di una solitudine che si alimenta della volontà di conoscere attraverso lo sguardo, per «imparare a vedere» come verrà detto anche nel Malte. E seguendo lo stesso itinerario del pensiero rodiniano, infine esplicitato nelle conversazioni con Paul Gsell uscite nel 1911 sotto il titolo L’Art, Rilke liricamente certifica come l’eroe sia solo: «Prima di essere celebre, Rodin era solo. E la celebrità, una volta sopraggiunta, lo ha reso forse ancora più solo».
In questa eroica solitudine, alla maniera di Ralph Waldo Emerson ugualmente citato in esergo, il poeta rintraccia per Rodin la via che conduce dallo studio della realtà allo sprofondamento nell’anima. Quel luogo in cui l’universo sembra ricomporsi in noi. Quel luogo dal quale proviene una voce. Che è silenzio e sera, distanza e vento.
Auguste Rodin,
«Il pensiero» (1893 - 1895), Parigi, Musée Rodin
Rilke e Rodin (1902), Paris, Musée Rodin
Camille Claudel, «Ritratto di Auguste Rodin» (1888 - 1889), Parigi, Musée Rodin