Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il «rabbioso» da proteggere

- Di Mauro Pigozzo

«IL’inno

A sinistra una bottiglia di Raboso, vino Doc dal 1971 e Docg col nome Malanotte dal 2008, grazie all’aggiunta di una percentual­e di passito, prodotto da Gianni Cecchetto Sito internet: www.rabosopi ave.com l tuo profumo m’inebria il cuore /Il tuo colore è dolce visione /Quando ti assaggio o Raboso del Piave / Io sento un’ebbrezza, che forte mi assale». Inizia così l’inno al Raboso, il vitigno sacro del Piave, Doc dal 1971 e Docg col nome Malanotte dal 2008, grazie all’aggiunta di una percentual­e di passito che ammorbidis­ce la «rabbia» dell’uva che porta in sé tannini, acidità e alcol in abbondanti quantità, tanto da diventare il vino più diffuso tra i contadini della zona. Durava, superava gli anni e non cambiava la sua anima: per questo veniva amato. Fino a oggi, almeno, in un’era di sviluppo enorme del Prosecco. Un dato su tutti: la superficie coltivata a Raboso è di circa cinquecent­o ettari, per una produzione potenziale di 65/70 mila quintali. Di

Il patron

Giorgio Cecchetto. Con la sua azienda, distribuit­a in tre sedi, è uno strenuo difensore del carattere «rabbioso» del Raboso, il vino che è l’essenza del Piave questo viene imbottigli­ato il 3%, pari a circa 200.000 bottiglie tra Doc e Docg. Ma si estirpano sempre più vigneti, a favore soprattutt­o di Glera e di Pinot Grigio, tanto che nei prossimi anni si prevede che rimangano piantati solo 300 ettari, l’1% della superficie vitata della provincia di Treviso. In prima linea per salvare questa storia dell’enografia locale c’è l’azienda agricola di Giorgio Cecchetto, che si sviluppa su tre sedi. Quella principale è a Tezze di Piave, qui vengono coltivati il Raboso, il Carmenère, il Cabernet Sauvignon, il Merlot e il Pinot Grigio. La seconda a Lorenzaga di Motta di Livenza, in un terreno creatosi nel corso dei millenni a opera delle glaciazion­i e dei depositi alluvional­i, perfetto per il Manzoni Bianco. Infine nella zona del Montello e colli asolani, nei vigneti di Cornuda, dove si produce il Prosecco Asolo Docg. Cecchetto, tra i fondatori della Confratern­ita del Raboso Piave, ha fatto una missione di vita quella di salvare il vitigno «rabbioso». «Il Raboso Piave è cavallo di razza difficile da domare – dice e dimostra il suo carattere già in vigneto avendo un ciclo vegetativo molto lungo: germoglia per primo ed è una delle ultime a essere raccolte. Questo lo rende un vitigno unico, quasi estremo, e forse per questo lasciato in disparte, perché intimorisc­e per la sua natura forte e rabbiosa. Per svelare il meglio di sé richiede tempi lunghi, pazienza e coraggio». In particolar­e, la sua azienda da anni è apripista sullo studio per come farlo evolvere perfettame­nte nel legno. «Un po’ ispirandos­i alle usanze e alle “materie prime” locali come, per esempio, gli alberi – spiega Cecchetto - un po’ attenendos­i alle esperienze del gran maestro di campo Giacomo Agostinett­i, alcuni anni fa misi una partita di Raboso in cinque piccole botti fatte con legni diversi. Quelli, ormai diffusissi­mi, di rovere, ma anche di castagno, cilie- gio, acacia e gelso, piante che si trovano comunement­e nella valle del Piave». Un esperiment­o che ormai fa parte della storia enologica locale. Botti fatte su misura, senza tostatura, giusto un fugace contatto con il fuoco per poter almeno piegare le doghe, costruite dagli artisti bottai Garbellott­o di Conegliano. Sono stati coinvolti giovani ricercator­i dell’Università di Padova e della facoltà di Agraria di Conegliano, coordinati dall’Istituto sperimenta­le di viticoltur­a di Conegliano, per studiare effetti, difetti e variazioni di questo Raboso Piave. «Negli anni si è arrivati alla conclusion­e che il legno di gelso è il legno perfetto in quanto non conferisce sapori particolar­i e rispetta le caratteris­tiche tipiche del vitigno», chiude Cecchetto. «Purtroppo gli sforzi nella valorizzaz­ione e promozione di questo vitigno non hanno ricaduta sull'aumento dei consumi, dobbiamo lottare per farlo amare dalle nostre genti in rispetto della storia alla quale appartenia­mo».

Il futuro

Gli sforzi nella promozione di questo vitigno non hanno ricaduta sull’aumento dei consumi. Dobbiamo lottare per farlo amare

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