Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Fratellini morti dopo il vaccino I giudici: nessun risarcimento, all’epoca non sapevamo i rischi
VERONA Ha combattuto fino all’ultimo la sua battaglia contro la vaccinazione obbligatoria. Ma la Cassazione ha stabilito che i familiari di Giorgio Tremante non avranno diritto ad alcun risarcimento per le morti precoci di Marco e Andrea, i due fratelli ai quali è stato dedicato anche un giardino a Verona con tanto di targa commemorativa che recita: «Deceduti a seguito di vaccinazione obbligatoria» e per lo stato in cui continua a vivere Alberto. Scomparso a novembre all’età di 76 anni, l’ex geometra di Porto San Pancrazio era diventato una sorta di icona no-vax, arrivando a sfidare il Ministero della Salute in Tribunale. Nel 1971, aveva perso il primogenito Marco a soli sei anni: il piccolo aveva iniziato a manifestare difetti della parola, tremori e nistagmo oculare, secondo alcuni medici correlati alla somministrazione del vaccino antipolio Sabin. Luca, il secondogenito, era cresciuto senza particolari problemi. Ma i gemellini nati nel 1976, Alberto e Andrea, avevano da subito manifestato sintomi di alterazioni da «immunodepressione». Quattro anni più tardi, Andrea era venuto a mancare dopo un ricovero d’urgenza. Alberto, invece, era riuscito a sopravvivere, pur affetto da gravi handicap. E Giorgio Tremante, aveva deciso di ricorrere in Tribunale, per chiedere un risarcimento al ministero. Nel 2013, dopo una prima bocciatura in primo grado, anche i giudici della corte d’Appello di Venezia, avevano detto «no» a Tremante. Un verdetto ribadito anche dagli «ermellini» della Capitale che nella sentenza, citata ieri dall’Ansa, ricordano che «il decesso del primo piccolo non era stato messo in correlazione con la somministrazione del vaccino antipolio; ipotesi che venne presa in considerazione solamente dopo l’esito infausto delle due vaccinazioni degli altri due fratellini». Ma soprattutto, la Suprema Corte afferma che «all’epoca dei fatti non vi era alcuna evidenza dello stato di immunodeficienza congenita da cui erano afflitti». Infine, osservano i giudici, «quand’anche fosse stata rilevata la possibile incompatibilità tra il vaccino di tipo Sabin e lo stato di immunodeficienza, negli anni in cui le vaccinazioni sono state eseguite conclude il verdetto -, non si sarebbe comunque potuto fare nulla di diverso da ciò che è stato fatto, non essendo ancora disponibile il vaccino Salk».