Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LE CAMERE E LA VERA PARTITA
Si capisce molto poco dell’attuale situazione politica. E c’è chi indugia sui particolari, arzigogola sui dettagli, disperdendosi in analisi che sconfinano nel pettegolezzo. Stabilire se la neo eletta presidente Casellati sia rodigina (per nascita) o padovana (per residenza), recriminare per la mancata elezione alla presidenza della Camera di Riccardo Fraccaro, nativo di Montebelluna, solo perché se fosse andata diversamente avremmo fatto l’en-plein di veneti sugli scranni più alti del Parlamento, non affronta i veri nodi politici. Quelle nomine, andate in porto o mancate, nulla in realtà dicono riguardo alla presenza di un ceto politico regionale adeguatamente attrezzato, dal punto di vista culturale, prima ancora che politico. Mentre rischia di restare del tutto eluso il tema di fondo, a cui sono ovviamente riconducibili anche le questioni più specifiche riguardanti il Veneto, vale a dire un attendibile quadro di sistema, del quale gli eventi più recenti sono solo logiche e inesorabili conseguenze. Da quasi trent’anni, anche a seguito delle implicazioni connesse con il crollo del muro di Berlino, il fenomeno che, in forme e gradi differenti, accomuna i paesi europei è la crisi della democrazia rappresentativa. Alla radice della nozione stessa di democrazia sussiste una contraddizione. Da un lato, infatti, già dal punto di vista etimologico, democrazia vuol dire «governo del popolo» ovvero coincidenza fra governanti e governati.
Dall’altro lato, sia sotto il profilo storico, che dal punto di vista concettuale, intesa come si è detto la democrazia semplicemente non è possibile. A parte la pessima reputazione della quale ha sempre goduto preso grandi pensatori del passato (da Platone a Hobbes e Schmitt), per i quali essa è la forma peggiore di governo, lo stesso Jean Jacques Rousseau, paladino del concetto moderno di democrazia, doveva riconoscere che in senso proprio essa non è possibile – o almeno non lo è in senso tecnico specifico, e cioè come autogoverno del popolo. Insomma, per poter parlare di una democrazia realmente rappresentativa sarebbe necessario che la rappresentanza fosse sempre più estesa e capillare. Ma dall’altro lato, sempre di più il processo decisionale in società complesse e articolate richiede tempestività e dunque tende inevitabilmente alla riduzione e alla semplificazione. La contraddizione fra queste due tendenze opposte, resa più drammatica dal galoppare del processo di globalizzazione, ha raggiunto un punto critico, ponendo in questione la possibilità stessa di sopravvivenza della forma democratica di governo. All’orizzonte ora abbozzato, riguardante in generale i paesi europei, si deve aggiungere un aspetto (quasi sempre ignorato), relativo alle peculiarità della Costituzione italiana. Frutto della collaborazione fra due partiti fra loro nettamente diversi, e che di lì a poco si sarebbero combattuti senza esclusione di colpi, la legge fondamentale dello Stato delinea un’architettura istituzionale complessiva ispirata ad un criterio fondamentale: ovunque sono previsti pesi e contrappesi, poteri e contropoteri, in maniera di rendere impossibile l’affermazione di un soggetto politico autoritario, quale è stato il fascismo. Per dirla in termini più espliciti, la Costituzione (nella sua seconda parte) è congegnata in modo da rendere lentissimo, e dunque inefficace, il processo delle decisioni politiche, con ciò aggiungendo alla crisi generale della democrazia una decisiva particolarità tutta italiana. Gli unici ad aver se non altro intuìto il quadro complesso ora accennato sono stati il «primo» Renzi e Grillo. Desumendone strategie opposte. Il leader cinquestelle, giudicando ormai prossimo il collasso della democrazia rappresentativa, ha puntato su una transizione (non importa se nebulosa e velleitaria) alla democrazia diretta. Mentre Renzi aveva elaborato un ambiziosissimo piano di riforme, volto a rivitalizzare e a rilanciare il funzionamento della macchina istituzionale e amministrativa. Il progetto renziano è stato battuto dalla convergenza fra una successiva miopia narcisistica del leader, e la forza di un formidabile blocco conservatore, che ha arruolato apparati di partiti e di sindacati, ampi settori della comunicazione e burocrazie ministeriali, accomunati dall’intento di far naufragare il disegno di una riforma complessiva dello Stato e della pubblica amministrazione. Tramontato il renzismo, è arrivato ora il turno dei fautori della democrazia diretta. Messi alla prova, dovrebbero dimostrare che Rousseau aveva torto. E che Grillo è il profeta di una novità inaudita – la democrazia del click.