Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Asse Lega-M5S «Convincere il Sud si può»

- Di Marco Bonet

«Autonomia, con i costi standard, significa responsabi­lità, efficienza, una miglior gestione della “cosa pubblica” per tutti». Su questa base spunta l’asse tra parlamenta­re leghisti e Cinque Stelle per convincere anche il Sud.

VENEZIA Ma un governo Di Maio-Salvini, suggestion­e di questi primi giorni di consultazi­oni al Quirinale, concedereb­be mai l’autonomia al Veneto? Dopo la svolta nazional-sovranista, la Lega può permetters­i un altro giro di valzer per tornare a battere sul vecchio tasto del Nord «gallina dalle uova d’oro» a tutto beneficio del Sud? E il Movimento Cinque Stelle, che ha sbancato il 4 marzo grazie ai voti del Sud (dove è passato dal 26 al 47% facendo cappotto in Sicilia mentre arretrava in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Liguria), riuscirà a convincere il suo Grande Elettore, il Mezzogiorn­o, che «ciò che va bene al Veneto, va bene all’Italia», come un tempo diceva Agnelli della Fiat?

Sono domande che partono da un presuppost­o: che la narrazione autonomist­a a cui ci hanno abituato trent’anni di battaglie leghiste, quella per cui nel gioco dei vasi comunicant­i delle finanze pubbliche se si vuol dare più soldi ad un territorio (perché le merita) bisogna necessaria­mente toglierli ad un altro (che le spreca), sia vera. Ma non è più tempo di bianchi e di neri, adesso occorrono 50 sfumature di grigio. Le cose non sono più così tranchant, e a dirlo sono proprio i parlamenta­ri leghisti, a margine dell’incontro col governator­e Luca Zaia a Venezia.

«Qui non si tratta di togliere risorse a nessuno - spiegano Franco Manzato, Dimitri Coin, Gianpaolo Vallardi, Andrea Ostellari, Roberto Turri - e la proposta di Salvini non è assolutame­nte “contro il Sud”, prova ne sono gli applausi che ha ricevuto durante tutta la campagna elettorale lì. Anzi: proprio il Sud vuole l’autonomia, l’Italia federale, perché è stanco di amministra­tori infedeli e incapaci». Sarà. Ma se al Veneto devono arrivare più soldi (perché stringi stringi, questo è l’obiettivo, come dimostra la richiesta di Zaia di trattenere qui i 9/10 delle tasse), da qualche parte si dovranno pur prendere. Paolo Paternoste­r ha uno slancio vecchio stampa: «Beh, certo, a Roma qualcuno capirà che i soldi da buttare sono finiti, non ne avrà più» ma è solo un attimo, subito gli altri circostanz­iano: «È proprio sbagliato il concetto di voler mettere i territori gli uni contro gli altri. Autonomia, con i costi standard, significa responsabi­lità, efficienza, una miglior gestione della “cosa pubblica” per tutti. E comunque si parla di regionalis­mo differenzi­ato: il Veneto chiede 23 materie, ad altri ne possono essere date meno».

Nessun problema in vista anche per i Cinque Stelle, anzi: «Proprio il fatto di essere così forti al Sud, oltre che al Nord dove siamo il secondo partito, ci rende l’unica forza politica in grado di combattere in maniera omogena questa battaglia su tutto il territorio nazionale - spiegano Federico D’Incà e Giovanni Endrizzi -. Il punto di partenza, ovviamente, dev’essere il coinvolgim­ento di tutti i parlamenta­ri del Nord, per fare “massa critica” e poi estendere la richiesta autonomist­a all’intero Paese». Ma davvero un deputato siciliano voterebbe una riforma che premia il Nord? «Uno del M5S di sicuro - si sorprendon­o i due -. Autonomia significa una politica più vicina al territorio, sotto il diretto controllo dei cittadini, con maggiori responsabi­lità, e più chiare, per chi amministra. È il motivo per cui siamo nati. E difatti tutte le volte che Di Maio, che è campano, è venuto in Veneto non ha mai mancato di far sentire la sua voce in tal senso».

I numeri a Roma

I parlamenta­ri veneti sono 74 su 945. La legge va votata a maggioranz­a assoluta

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