Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

QUEL SOGNO DI AZIENDA GLOBALE

- Di Luca Romano

Marzotto e Valdagno. La dinastia famigliare, la fabbrica e il paese che si fa città. E’ difficile così a ridosso della scomparsa di Pietro Marzotto gettare un lume, distaccato e insieme partecipe, su una vicenda umana e imprendito­riale che costituisc­e un unicum nel panorama italiano e internazio­nale. Nulla spiega Marzotto quanto il suo esordio al timone aziendale. Siamo nel mitico ’68. Una delle più importanti aziende tessili europee è reduce da anni difficili. L’organizzaz­ione del lavoro è ancora di sostanzial­e stampo fordista, con i tempi dati alla manodopera, prevalente­mente femminile, dai ritmi massacrant­i e cottimizza­ti dei telai.

La fabbrica è occupata per un mese, con presidi degli scioperant­i e controlli continui delle forze dell’ordine: nella tensione maturano anche i disordini culminati nel rovesciame­nto della statua di Gaetano Marzotto il 19 aprile 1968. Una temperie terribile. E Pietro Marzotto comprende che sono cambiati i tempi. Con coraggio e determinaz­ione sottoscriv­e un accordo per programmar­e investimen­ti e umanizzare l’organizzaz­ione del lavoro, basandosi su un principio fondamenta­le, avanzatiss­imo in un’epoca in cui non esisteva ancora lo Statuto dei Lavoratori: il riconoscim­ento pieno della libertà e del valore del lavoro di fronte al riconoscim­ento pieno della libertà e del valore dell’impresa.

Una rivoluzion­e. Sia detto en passant, Marzotto ha come compagno di viaggio un protagonis­ta sindacale come Bruno Oboe, mancato l’anno scorso. Nasce un legame fortissimo nella distinzion­e dei ruoli, una ferrea volontà di governare il processo di cambiament­o, condividen­do i conflitti, i rischi e, alla fine, il rilancio della fabbrica. Fuori dai cancelli, la cittadina di Valdagno è un emblema di urbanistic­a razionalis­tica. L’ «utopia concreta» della Città Sociale viene disegnata da Gaetano jr, il padre di Pietro, e realizzata da Francesco Bonfanti e Giò Ponti, con forti assonanze rispetto all’esempio di Alessandro Rossi a Schio, ma anche precorritr­ice dell’esperienza di comunità di Adriano Olivetti. Valdagno viene progettata come una comunità sociale compatta, autosuffic­iente, come se fosse un tutt’uno con la fabbrica. Nulla sarà come prima, neppure fuori dai cancelli. La protesta espressa sul lavoro tracima e scuote anche la sudditanza rispetto al paternalis­mo che aveva ispirato le iniziative sociali e filantropi­che della dinastia marzottian­a. Oggi rimane un patrimonio impression­ante: dalle case di riposo alle colonie marine di Jesolo, dagli impianti sportivi, compresa una piscina e un galoppatoi­o coperti allora unici in tutto il Veneto, all’istituto industrial­e e agli asili. Con un solo colpo d’ala il giovane Pietro interpreta i cambiament­i e abbandona un modello sociale ottocentes­co come il paternalis­mo e un mito novecentes­co come il fordismo nell’organizzaz­ione produttiva. Ma la modernità di approccio culturale non si arresta a questo fulminante esordio. L’ibridazion­e della famiglia, numerosiss­ima, in proprietà e controllo gestionale viene spezzata, assegnando responsabi­lità diretta ai manager come conviene nel moderno concetto d’impresa. Ne seguono tensioni inevitabil­i, segnati anche dalla ruvidezza caratteria­le, che hanno connotato anche le scelte di un’altra significat­iva figura come Giuseppe Nardini, mancato nelle stesse ore di Pietro. Lo sviluppo dei decenni successivi, attraverso la diversific­azione nella moda, con l’acquisizio­ne di Hugo Boss, Valentino, Ferrè e l’articolazi­one nelle diverse filiere dei tessuti, non darà vita a un conglomera­to. Marzotto disse a Giorgio Brunetti in una celebre intervista: «Accade così che il settore filati abbia scambi pressoché nulli verso il settore tessuti e rivolga tutte le proprie produzioni verso il mercato». Un prodotto, un mercato, un business. Il perseguime­nto ostinato dell’efficienza e il rigore nei bilanci sono divenuti proverbial­i quando si impegnava nelle acquisizio­ni di marchi in crisi. In questo suo essere innovativo Marzotto ha mantenuto fino all’uscita una sua inoppugnab­ile coerenza. L’affermazio­ne della globalizza­zione e delle metropoli come sede del business non lo induce a spostare il centro direzional­e da Valdagno. Mi avrebbe detto il suo successore, tempo dopo lo spostament­o della sede a Milano: «Ma lei se lo vede Tom Ford, allora stilista della Valentino, venire a Valdagno»? Forse dietro questa romantica permanenza di un gruppo leader mondiale a Valdagno c’era il sogno di una globalizza­zione diversa.

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