Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il giudice: Veneto Banca era fallita Ora si indaga per bancarotta
Veneto Banca sentenza del tribunale fallimentare cambia il quadro penale: prescrizione più lontana
TREVISO Il Tribunale fallimentare di Treviso ha dichiarato l’insolvenza di Veneto Banca: l’ex popolare era nelle condizioni di non poter pagare i creditori già prima della cessione a Intesa. Per questo motivo ora la Procura indaga anche per bancarotta.
TREVISO Il tribunale fallimentare di Treviso dichiara lo stato di insolvenza di Veneto Banca. Secondo i giudici Antonello Fabbro, Francesca Vortali e Petra Uliana, alla data del 25 giugno 2017, quando è stata messa in liquidazione coatta, la banca era insolvente. Una dichiarazione che cambia ancora lo scenario sul fallimento dell’ex Popolare, sia sul fronte penale sia su quello civile.
Su quello penale perché, come auspicato, la procura può ora procedere con un nuovo filone d’inchiesta: quello per bancarotta. Il reato che, più di tutti fra quelli ipotizzati fino ad oggi, sembra dare maggiori garanzie agli inquirenti di tempi più lunghi per indagare e agli ex soci di avere giustizia. «Siamo sempre stati convinti che la banca fosse insolvente e vogliamo accertare se vi siano responsabilità», commenta col sorriso il sostituto procuratore Massimo De Bortoli. Il magistrato, che ha in capo tutti i filoni d’indagine su Veneto Banca, non nasconde la soddisfazione per la decisione del tribunale che apre la possibilità di andare oltre i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, truffa e falso. Il suo prossimo passo sarà quindi aprire un nuovo fascicolo con l’ipotesi di reato di bancarotta a carico di ignoti.
Le indagini, affidate al nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, diranno se c’è stata bancarotta e se è stata semplice, preferenziale o fraudolenta. E se sul registro degli indagati dovranno finire
i nomi di chi l’ha prodotta.
Il raggio d’azione su cui si concentreranno i finanzieri non può che essere quello degli amministratori, di chi cioè ha gestito la banca facendola affondare o creando i presupposti perché colasse a picco. E quindi l’ex direttore generale Vincenzo Consoli e l’ex presidente Flavio Trinca (già indagati a vario titolo per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza). La sentenza, infatti, sembra puntare il dito proprio contro i vecchi amministratori e non gli ultimi, saliti in plancia di comando quando ormai la rotta era persa. E lo fanno precisando che l’elemento scatenante dell’insolvenza è un «singolo fattore sopravvenuto e indipendente dalla condotta degli amministratori», ossia la dichiarazione di prossimità al dissesto che la porterà alla liquidazione. Che per Veneto Banca è arrivato il 23 giugno 2017 dalla Bce. E partendo da un presupposto, imprescindibile per Fabbro e i suoi colleghi: «Che la liquidazione segna il passaggio della banca da una situazione di continuità a una situazione liquidatoria, imponendo un diverso approccio per verificare la sussistenza dell’insolvenza».
Partendo da questo, i giudici fallimentari hanno analizzato i bilanci dell’ex Popolare in liquidazione, sulla base di una «prognosi postuma» e cioè in termini di probabilità. Ribaltando l’impostazione dell’ultimo Cda presieduto da Massimo Lanza, per il quale non c’era il dissesto, sostenuta
dal professor Lorenzo Stanghellini con un patrimonio di oltre 1 miliardo di euro e una liquidità di 600 milioni sufficiente a far fronte alle esigenze. Confermata, secondo l’esperto, dall’ok di Bce alla ricapitalizzazione precauzionale e garanzie statali sulle obbligazioni per la liquidità. Ma per i giudici fallimentari non conta. Perché la linea di demarcazione è la prossimità al dissesto decisa da Bce il 23 giugno e la liquidazione della banca, che segna la fine della continuità aziendale. È a quel punto che fanno i conti, e rilevano che, anche nella migliore delle ipotesi, la liquidazione ordinata, «è altamente probabile che l’attivo risulterà insufficiente a soddisfare i creditori» con una passività di 538,6 milioni di euro.
La sentenza può essere appellata alla Corte d’appello di Venezia. Ma intanto la notizia ha portato grande entusiasmo tra gli ex soci perché, di fatto, sventa il rischio prescrizione. Con la bancarotta infatti, da ieri, ci sono 12 anni di tempo per arrivare a un eventuale processo e a una sentenza definitiva. «Oggi per noi è una bella giornata, che ci fa ancora credere nelle istituzioni», commenta l’avvocato Andrea Arman del Coordinamento don Torta, mentre il Movimento Difesa del Cittadino auspica «che tale decisione possa dare slancio all’azione della politica sulla tutela del risparmio», spiega l’avvocato Matteo Moschini.