Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
DISTRETTI, IL NORDEST CHE CAMBIA
La decennale crisi ha ridisegnato il rapporto tra l’economia industriale e il territorio veneto. Ne è derivato un cambiamento di modello. Quello che sta venendo avanti stempera la solidarietà che univa in una idea forte di regione i tanti luoghi dello sviluppo locale. Questi, infatti, hanno diversificato i loro profili a partire dall’interdipendenza con i sistemi metropolitani globali. Dobbiamo prima di tutto riconoscerli se vogliamo, con qualche possibilità di successo, rappresentarli. Agli occhi delle rappresentanze ormai il Veneto ha assunto la veste di un labirinto, è venuto meno lo storico pilastro della sintesi regionale. C’è un Veneto dei distretti industriali del made in Italy della moda, gioiello, pelle, occhialeria, arredamento e sistema casa che ha con Milano un rapporto come tra le città della Lega Anseatica: vivacissimo di scambi, collaborazioni, complementarietà e arricchimento reciproco. A Milano le imprese di questi settori ricavano il presidio fieristico, le alleanze finanziarie, le competenze creative. E Milano restituisce un ancoraggio dei territori della produzione. Emblematico è ciò che sta accadendo nell’occhialeria. Sempre più insiste in Cadore il baricentro produttivo con ulteriori investimenti, sempre più risiede a Milano il governo della catena del valore. Pertanto è un’interdipendenza collaborativa e virtuosa. Per i poli e i distretti veneti ciò non risolve ogni problema. Ci sono dei «buchi» nelle filiere formative e una sofferenza della rappresentanza.
Non a caso Luxottica, indiscusso numero uno del settore, ha disdetto l’adesione alle Confindustrie territoriali, confermando invece quella all’ associazione nazionale, l’ANFAO. Che, non per caso, sta a Milano. Quel che resta di rappresentanza nel territorio oggi interroga molto anche i «piccoli», Confartigianato e CNA. C’è anche una scuola di pensiero per cui la metropoli ambrosiana relazionerebbe in prospettiva, con questo legame anseatico, tutto il Veneto. Ma non è così. Cresce ancora un secondo Veneto, per sua natura «intermedio», nella polivalenza dei settori e dei prodotti della meccanica in evoluzione a industria 4.0. Storicamente questo grande segmento industriale emerge con l’infinito repertorio di forniture alla metropoli per antonomasia dell’automotive, tra Monaco di Baviera (BMW, Siemens, Bosch) e Ingolstadt (Audi).
In questo caso l’ordine «anseatico» è sostituito da un ordine «gerarchico» di fornitura e dipendenza. Ma il Veneto mostra straordinarie capacità di emancipazione da questo ordine attraverso gli scalatori delle filiere, che accedono ai nuovi mercati in modo autonomo e con prodotti propri sempre più «intelligenti». Questo composito insieme di famiglie industriali vanta anche un ottimo retroterra formativo per le competenze professionali, dagli Istituti Tecnici alle facoltà universitarie venete; non solo, ma è anche quello che ha mostrato la maggiore fedeltà associativa, in virtù di una rapporto strutturato con il territorio e di un’adeguatezza della rappresentanza alla propria natura «intermedia». Il più indecifrabile e inesplorato è però il terzo Veneto, che si rapporta, in forme ancora controverse, con le metropoli asiatiche come Shangai. Per i cinesi dominio geopolitico e sviluppo economico coincidono attraverso l’espansione infrastrutturale in cui far scorrere le proprie catene del valore. La «metropoli infrastruttura» che ci riguarda è la Via della Seta. La relazione con quel mondo non segue i due «ordini» precedenti, non è né di interdipendenza complementare, né di dipendenza gerarchica. Anzi per ora è
La sfida
Il labirinto veneto con le sue fibrillazioni è un dato di fatto a cui nessuna retorica «regionalista» può dare una risposta univoca