Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Occhipinti, bufera sulla scarcerazione
La rabbia dei familiari delle vittime. I giudici veneziani: «Soffre per i suoi sbagli»
BOLOGNA È bufera sulla decisione del tribunale di sorveglianza di Venezia di concedere la libertà a Marino Occhipinti, uno dei killer della Uno Bianca. «Il suo pentimento non è compiuto, senza il nostro perdono», dicono i familiari delle vittime. Ed è un perdono che nessuno sembra disposto a concedere. «Meritava di restare in prigione e scontare l’ergastolo», dicono. Ma per i giudici, Occhipinti soffre per il dolore causato con le sue azioni.
BOLOGNA L’indignazione incontenibile esplode di prima mattina tra i familiari delle vittime della Uno Bianca, appena appresa la notizia della libertà, dopo 24 anni di carcere, concessa dal tribunale di Sorveglianza di Venezia a Marino Occhipinti.
Il primo a parlare è proprio Luigi Beccari, l’anziano padre di Carlo, guardia giurata di 26 anni ucciso nel 1988 nell’assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio proprio da Occhipinti. È anziano e provato, ma trova la forza per dire: «Io gli darei di nuovo l’ergastolo, altro che libertà, deve rimanere in prigione. È solo un assassino che ha ucciso una persona innocente. Tutto questo mi fa molto male».
Piange da ieri mattina anche Veronica, la giovane figlia di Carlo Beccari, che quando le ammazzarono il padre aveva tre anni. Ieri è solo riuscita a dire a chi l’ha sentita «mi è mancato il respiro quando l’ho saputo». Veronica è andata via da Bologna ormai da tempo, ed è suo marito Nicola Chieppa a rispondere al suo posto: «Sapevamo che aveva già avuto dei permessi premio ma che la giustizia arrivi a rendere libero un uomo che ha ammazzato e mantenuto il segreto per tanto tempo ci sembra eccessivo. La legge va rivista, mia moglie ha perso la persona più importante della sua vita, non possiamo credere a questo percorso di pentimento».
Anche Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime e moglie di Primo, freddato dalla banda il 6 ottobre 1990 perché stava annotando il loro numero di targa dopo un colpo, chiede che le leggi sulla scarcerazione anticipata siano cambiate: «La normativa è obsoleta, va modificata». Lo ha chiesto anche all’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando: gli si presentò l’anno scorso a una Festa dell’Unità. «Mi ha detto che dobbiamo rassegnarci, hanno diritto ai permessi e prima o poi avranno anche il diritto di uscire. Ma questo è assurdo, in un Paese in cui si fa la guerra ai migranti ma poi si mettono fuori gli ergastolani».
Anche il deputato Pd Andrea De Maria sposa un’altra linea rispetto al compagno di partito ed ex Guardasigilli e sollecita una riflessione: «Nella consapevolezza del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, non si può non vedere che siamo di fronte a una sproporzione fra i delitti compiuti da quella banda criminale e il percorso giudiziario dei colpevoli». Secondo il parlamentare, la Uno Bianca «ha rappresentato più che un semplice episodio di criminalità ma una occasione di destabilizzazione della convivenza civile e delle istituzioni di Bologna, operata da chi quella convivenza avrebbe dovuto difendere, in un contesto che ha consentito per anni ai responsabili di agire indisturbati».
A Marino Occhipinti i familiari delle vittime non perdonano che, sebbene sia stato riconosciuto colpevole di un solo omicidio e quindi condannato a un solo ergastolo, non si sia pentito prima fermando la scia di sangue dei fratelli Savi. «Sapeva cosa facevano – prosegue Rosanna Zecchi – e avrebbe potuto parlare per evitare altri morti».
«È un’indecenza» commenta Anna Maria Stefanini, madre di Otello, carabiniere ucciso a 22 anni, il 4 gennaio ‘91 nella strage del Pilastro. «Non è da sottovalutare che se Occhipinti avesse parlato molte persone sarebbero ancora vive, compreso mio figlio». Ma la rabbia esplode anche contro il Tribunale di sorveglianza di Venezia, che ha firmato il provvedimento di scarcerazione. «Voglio replicare al giudice che ha scritto che il pentimento è autentico – conclude Stefanini - lo invito a riflettere su come nessun pentimento possa considerarsi compiuto senza il perdono dei familiari delle vittime». Anche Rosanna Zecchi si rivolge ai giudici: «Potevamo essere almeno avvisati».