Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Magliette e scarpe? Quella delocalizzazione all’Est è finita da tempo»
Il decreto e lo stop ai chi se ne va: «La geografia è cambiata»
voglia di estero. Se non sia il caso dell’Electrolux e degli incentivi concessi quattro anni fa per non lasciare l’Italia. Presto per dirlo, senza vedere il decreto. «Chiaro che il ‘bianco’ in senso tradizionale non è più appetibile - avverte ancora Costa - . Non a caso l’Inox-valley ha prodotto aziende di nicchia, fortissime sugli elettrodomestici professionali. Ma la stessa Electrolux è ancora qui perché ha cambiato i proprio prodotti».
Dubbi su dubbi, del decreto viene da chiedersi, in una catena di produzione globalizzata, come verranno considerate le aziende italiane (vedi l’occhialeria, ma anche il mondo a cavallo della meccatronica) che assemblano in Italia prodotti con parti prodotte all’estero. E ancora, come impatterebbe l’estensione della restituzione incentivi a quelli sugli investimenti per il 4.0: «Il rischio è di creare una diffidenza che finisce per bloccare gli investimenti innovativi - aggiunge Costa - e di mettere in difficoltà i nostri produttori di macchine utensili». E poi la domanda più semplice: come può il decreto frenare i trasferimenti all’estero, più o meno opportunistici, più o meno legati alle sirene o dagli incentivi dei Paesi di turno, magari in polemica con il carico fiscale o burocratico all’italiana, di chi degli incentivi ha fatto sempre a meno?
In più va considerato che il fenomeno, nel concreto, è molto più difficile da afferrare di quanto non lo sia declinato per slogan. «Non ci sono statistiche capaci di fotografare la delocalizzazione produttiva. E non conosciamo il numero di imprese che ha chiuso l’attività per trasferirsi all’estero», dice Paolo Zabeo della Cgia di Mestre, che aveva rilanciato i dati della banca dati Reprint di Politecnico Milano e Ice sugli investimenti diretti all’estero delle imprese italiane. Così il numero di partecipazioni di imprese venete all’estero è salito del 15%, dalle 4.419 del 2009 alle 5.070 del 2015. Ma è chiaro che questi dati colgono qualcosa di più ampio. E non a caso dei 35.684 casi italiani registrati nel 2015, oltre 14.400, il 40% del totale, sono filiali e joint venture commerciali, mentre 8.200, il 23%, sono imprese manifatturiere. Così come le destinazioni maggiori restano Stati Uniti e Francia.
Conviene forse rivolgersi a chi la realtà la conosce da vicino, come Luca Serena, il manager trevigiano presidente delle duemila imprese di Confindustria Est Europa insediate nell’area balcanica, e già presidente di Confindustria Romania. Serena stima in 28 mila le imprese italiane in quei Paesi; e di queste almeno settemila legate ad aziende venete. In un panorama molto cambiato: «Da noi si pensa ancora alla delocalizzazione delle scarpe e delle magliette - dice Serena -. Ma oggi all’Est ci sono soprattutto aziende di costruzione interessate agli appalti di autostrade, scuole ed ospedali, e quelle dell’energia, dal fotovoltaico, all’eolico al microidroelettrico. Per questo siamo contrari a ragionamenti fuori tempo massimo. E l’introduzione di regole anti-speculazione in Italia sulle agevolazioni poco c’entra con i nostri investimenti all’estero, che vanno sostenuti di più con un riordino degli strumenti della filiera Ice-Sace-Simest».
E non manca chi come il manager Maurizio Castro mostra il lato paradossale della vicenda. «Credo giusto che gli incentivi concessi siano vincolati al loro uso in Italia: è parte del diritto naturale prima ancora che commerciale. Ma allora mi spaventa la retorica che ci si sta mettendo sopra. Perché i contratti di sviluppo finanziati dall’agenzia Invitalia del ministero dello Sviluppo economico sono 122, con incentivi per 2 miliardi su 4,5 di investimenti. Programmi iper-controllati. E va detto che bisogna risalire indietro di decenni per ritrovare gli interventi speculativi dei finti capannoni al Sud. Ma allora parliamo di qualcosa di portata limitata. Oltretutto sapendo che gli interventi pericolosi, più che nell’industria, si concentrano nella logistica e nei servizi».