Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
ORA I NODI ARRIVANO AL PETTINE
Il balletto «grandi opere sì, grandi opere no» che va in scena in questi giorni è solamente la prova generale di quello che accadrà a settembre, quando si dovrà cominciare seriamente a pensare alla manovra finanziaria. In gioco è la tenuta del governo. E lo stop and go su Tav, Tap (e Pedemontana Veneta e Passante di mezzo di Bologna e su tutta una serie di altre infrastrutture più o meno avviate), con Matteo Salvini ad accelerare, Danilo Toninelli a frenare e il premier Giuseppe Conte a mediare, non promette niente di buono. Quando sarà il momento di mettere giù i numeri, bisognerà dire agli italiani che in effetti flat tax, reddito di cittadinanza e riforma della Legge Fornero non si possono fare tutti insieme. Insomma, presto arriverà l’ora delle scelte e delle decisioni vere (non a colpi di Twitter) all’interno della maggioranza.
Ma c’è un altro rischio, gravissimo, all’orizzonte settembrino: l’esplosione di una nuova «questione settentrionale». Un tema molto sentito una decina d’anni fa, poi via via sparito dal dibattito politico. Per paradosso, la «questione settentrionale» sta tornano d’attualità in epoca di governo pentaleghista. E oggi come allora unisce in modo trasversale forze e categorie diverse: imprenditori e artigiani vicini alla Lega insieme con pezzi importanti del Pd (non a caso il segretario dei Democratici dell’Emilia Romagna Paolo Calvano ha lanciato l’idea di un Pd del Nord). Il primo round è andato in scena con il varo del Decreto dignità.
Le categorie produttive del nuovo triangolo industriale MilanoVenezia-Bologna, dove la ripresa è stata più forte e non può essere soffocata, hanno alzato la voce dicendo chiaro e tondo che ben altre devono essere le mosse in favore del mondo delle imprese. Nemmeno il tempo di approvare in via definitiva il Decreto dignità ed ecco esplodere le polemiche sulle grandi opere. Non paga dei botta e risposta tra Salvini e Toninelli (ministro delle Infrastrutture, quindi competente in materia), si è messa di mezzo pure Barbara Lezzi, ministro per il Sud (cinque stelle come Toninelli). Barbara Lezzi ha fatto l’elenco dei veri interessi del Mezzogiorno mettendoli sostanzialmente in contrapposizione con quelli del Nord. Le grandi opere, inutile dirlo, sarebbero da bloccare. Immediatamente. Con buona pace dei miliardi da pagare solo per le penali.
Ce n’è abbastanza per prevedere un particolarissimo autunno caldo. Dove protagonista principale sarà il sistema di piccole e medie imprese che si estende lungo i lati dell’A1, dell’A4 e dell’A13. Un sistema con una fortissima vocazione all’export, che non pensa di sicuro allo smantellamento dell’Europa e meno ancora all’uscita dall’euro, che vuole una rete di strade e di ferrovie all’altezza dei Paesi concorrenti, vicini e lontani. E che per tutte queste ragioni chiede (anzi, rivendica) l’autonomia regionale come strumento per ottimizzare le risorse, alzare il livello di competitività, aprirsi meglio ai mercati.
La prossima legge di Bilancio sarà uno spartiacque decisivo. Le associazioni industriali e artigianali sono già in stato di allerta per capire se la bilancia penderà dalla parte dei provvedimenti in favore della crescita o verso misure considerate di stampo assistenzialista. Salvini è ampiamente avvisato. In fondo, è lo zoccolo duro del vecchio elettorato di quella Lega diventata nel frattempo nazionale e sovranista. Fino a sette mesi fa si chiamava Lega Nord.