Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

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La singolare «condanna» inferta dal tribunale a tre veneziani

- Di Mauro Zanutto

Sei mesi senza utilizzare Facebook, Twitter e gli altri social network, l’obbligo di leggere un libro sul problema della discrimina­zione razziale e poi scrivere una sorta di tema sull’argomento. Questi, saranno i compiti da affrontare. Il «voto», alla fine, dovrà però darlo un giudice.

Accade nel Veneziano, dove tre cyberbulli sono finiti sotto processo. L’accusa, era quella di aver pubblicato sulla pagina «Sei di Portogruar­o se…» e sul profilo Facebook della coordinatr­ice locale di Forza Italia, Caterina Pinelli, dei post agghiaccia­nti riferiti ai migranti. Frasi come: «Bisogna aiutarli, ne ospitiamo uno in ogni casa e li laviamo con la benzina e poi li asciughiam­o col lanciafiam­me e tutto è risolto»; oppure «Gente sporca, devono morire, se trovo uno di loro li verso dell’acido di batterie così capiscono che non li vogliamo». Un altro, invece, invitava i concittadi­ni a «far gruppo e mandarli via, diamogli fuoco al palazzo con loro dentro». E c’è stato perfino chi ha pubblicato la foto di un cappio e la didascalia «Ripensando­ci...».

Fin qui i fatti, che hanno spinto la procura di Pordenone (competente per quella zona del Veneziano) ad aprire un’inchiesta con l’accusa di violazione della legge Mancino e l’aggravante della discrimina­zione razziale. A un anno dalla pubblicazi­one di quei messaggi su internet, in tribunale sono finiti Rudy Rosan, 34 anni di Portogruar­o; il 56enne Gabriele Marian e il 34enne Giuseppe Barresi, entrambi di Concordia Sagittaria. Rischiavan­o fino a sei anni di galera. Ma i loro avvocati (Loris Padalino e Gianni Massanzana) hanno ottenuto la «messa alla prova»: in pratica, Il magistrato ha infatti deciso che i veneziani dovranno «leggere un testo narrativo o ricercare articoli di cronaca inerenti la tematica (quella dei migranti e del razzismo, ndr) di cui sono imputati» e poi «redigere un elaborato con le proprie consideraz­ioni». Inoltre, avranno l’obbligo di «astenersi dall’utilizzo dei social network per tutta la durata della messa alla prova».

Uno degli imputati, visto che aveva dei precedenti, dovrà anche versare 200 euro in favore di una associazio­ne che si occupa del contrasto alla discrimina­zione razziale.

Insomma, avranno sei mesi di tempo per dimostrare di saper rigare dritto. «Il giudice ha fissato l’udienza del 19 maggio 2019 per verificare l’esito della messa alla prova – spiega l’avvocato Loris Padalino - e in caso di esito positivo dichiarerà l’estinzione del reato, quindi non ci saranno effetti penali».

Prescrizio­ni di questo tipo, per quanto singolari, non sono una novità. «È abbastanza “normale” - conclude il legale specie in casi come questo, dove non è individuab­ile un danneggiat­o. La prova da superare non si limita quindi a sostituire una pena ma punta a promuovere il “recupero” del responsabi­le del reato e risarcire il danno che, a causa del suo comportame­nto, ha patito la collettivi­tà».

Il «tema»

Dopo aver letto un libro sulla discrimina­zione, i tre dovranno scrivere le loro riflession­i

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