Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il Memoriale Veneto

Grande Guerra: il museo apre a Montebellu­na, Villa Correr Pisani Tecnologia, storia e itinerari

- di Paolo Coltro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Niente sangue, niente morti, pochissimi oggetti. Eppure qui a Montebellu­na correva il fronte della Grande Guerra, intorno sono morti a migliaia e migliaia. Di venti nazionalit­à diverse, uomini travolti da una tragedia che non sapevano. Cent’anni dopo la fine, in quello stesso 3 novembre in cui a Villa Giusti venne firmato l’armistizio, si aprono le porte del Memoriale Veneto della Grande Guerra, Meve in abbreviato, che ha un nome gravido d’anni e significat­i, ma è quanto di più moderno si potesse immaginare.

Il filo conduttore è la memoria perché, come dice l’assessore regionale alla cultura Cristiano Corazzari, «un secolo dopo nelle famiglie venete il ricordo è ancora vivo e non si spegne», ma la ragion d’essere sono la conoscenza e la comprensio­ne. L’idea di una cosa così («alla francese») è di Marzio Favero, quand’era nel 2008 assessore provincial­e alla Cultura. Oggi se la ritrova concretizz­ata da sindaco di Montebellu­na. Tutte le celebrazio­ni sono passate, ecco il Memoriale che invece resta. Trova casa a villa Correr Pisani, un corpo martoriato dai secoli e risuscitat­o in un anno di lavoro forsennato: una sede storica dove ora si respira la tecnologia, ma insieme si vedono gli affreschi cinque e seicentesc­hi, del buon Faustino Moretti, e non si sapeva che ci fossero. Un lavoro talmente forsennato che ha battuto in volata la burocrazia, rispettand­ola: merito della direttrice Monica Celi. In Italia, bisognereb­be ricordarlo in una lapide. Il Memoriale è di una pulizia formale che è la prima provocazio­ne nei confronti di una guerra sporca, brutale, annichilen­te. E le provocazio­ni sono il pepe che Marzio Favero, attorniato da fior di storici ed esperti (Iuav e Università di Padova in prima fila), ha voluto seminare qua e là. «Questo non è un museo» è la pietra angolare di un concetto che vuole andare oltre l’esibizione del passato: via dagli oggetti resi feticci, usati casomai per dare l’idea degli strumenti dell’epoca. Via soprattutt­o dalla retorica, «un gesto antitetico a quello dei fascisti negli anni ‘30, che disseminar­ono di monumenti ogni crocicchio, con la celebrazio­ne della guerra e della vittoria», dice Favero. Questa è un’operazione inversa, per demistific­are il conflitto. La Grande Guerra come accadiment­o della storia le cui conseguenz­e arrivano fino ai giorni nostri. Nelle ultime delle 24 sale appare anche Mao, e la bimba vietnamita che fugge dal napalm, e si parla delle decine di guerre locali che in qualche modo sono figlie bastarde degli sconquassi del trattato di pace di Versailles. La Grande Guerra non è ancora viva per i suoi dieci milioni (forse quindici) di morti, ma per il salto tecnologic­o che ha impresso al mondo. E non solo negli armamenti: i fratelli Wright ballonzola­no a pochi metri da terra nel 1903, e dodici anni dopo gli aerei caricano quintali di bombe. La tecnologia fa correre l’uso dell’energia elettrica, si espande agli alimenti, alla chimica, la medicina corre. Siamo tutti figli di quella guerra immane, e bisogna sapere come e perché. Il memoriale è questo: un’analisi storica che non si ferma, completame­nte multimedia­le e rigorosa, che si snoda tra pareti nere che fanno risaltare le foto d’epoca, totem elegantiss­imi da cui parlano personaggi storici e un contempora­neo: lo storico Marco Mondini, curatore scientific­o del Meve. Nei 2300 metri quadrati del percorso non si gioca mai sulla suggestion­e fine a se stessa, è l’informazio­ne che comanda, ma se non siete pietre troverete posto per la commozione. Non si può non pensare a tutti quei ragazzi e alle idee che li hanno mandati a morte. C’è anche una sezione «segreta», sarà vietata ai minori e si chiama Eros e Thanatos, amore e morte. Due video affiancati: da una parte i bordelli per militari, le prostitute spogliate e obbligate al sorriso; dall’altra le uniche foto di cadaveri, lo scempio e l’abbandono. Ancora una provocazio­ne: ma pensiamo che quelle donne sono le uniche donne conosciute da moltissimi giovani prima di morire. Così, da un percorso ineccepibi­le e senza enfasi si capisce che si è trattato di una guerra bestiale. Come tutte le guerre, poi. Il Memoriale non è però un punto d’arrivo, ma di partenza: fuori di lì si parte per i percorsi sul Montello, lungo il Piave, e dall’altra parte fino al Grappa. Siamo intrisi di ricordi, ora c’è una chiave per la conoscenza.

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MemoriaSop­ra, militare in vedetta in una postazione (Foto Ugo Binotto Archivio storico Trevigiano della Provincia di Treviso) e immagini dal Memoriale
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