Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Tu non lavori, la donna sta a casa» Magrebino condannato per violenze
Treviso, la donna si è separata e l’ha denunciato: risarcita
PIEVE DI SOLIGO (TREVISO) Lei marocchina, nonostante avesse due bimbe piccole voleva andare a lavorare. Un modo per conquistare un po’ di quell’indipendenza alla quale, vivendo in Italia, aveva capito di poter aspirare grazie a un’occupazione fuori casa. Ma non aveva fatto i conti con il marito che invece, voleva che la moglie rimanesse a casa, a occuparsi delle bambine. E per questo l’ha picchiata e maltrattata quotidianamente per oltre dieci anni, arrivando a chiudere il gas di casa per costringere lei e le figlie a stare al freddo d’inverno.
Le violenze sono andante avanti fino a quando, dopo l’ennesimo pestaggio, lei aveva deciso di denunciarlo. Ieri, il marito è stato condannato a una pena di un anno e 5 mesi. Il giudice trevigiano Leonardo Bianco gli ha inflitto anche 5 mila euro di risarcimento alla moglie che, si è costituita parte civile con l’avvocato Claudia Brugioni.
Dopo le ultime botte, la donna ha deciso di separarsi e oggi vive con le sue bambine e lavora, come aveva sempre sognato di poter fare. Un’aspirazione semplice, scontata per una donna occidentale. Che però, per una donna marocchina è invece diventata la causa di anni di calvario. Tutto è iniziato poco dopo la nascita della seconda bimba quanto la famiglia viveva a Pieve di Soligo, nel Trevigiano. Svezzata la piccola, la 33enne, ha detto al marito di volersi trovare un lavoro. Pensava di renderlo felice, dimostrando di aiutarlo nel mantenimento della famiglia. Invece la reazione è stata fin da subito pesantissima. Sono iniziati i maltrattamenti. Prima gli insulti e le violenze psicologiche. Poi sono arrivate anche le botte. A ogni litigio più acceso, la donna veniva colpita con calci e pugni. Botte che l’uomo dava alla moglie anche davanti alle bambine, testimoni impotenti della sua violenza. Tanto da provocare nella donna ma anche nelle piccole uno stato di ansia continua e una vita che, nel capo d’imputazione, viene definita «dolorosa». Perché non c’erano solo le botte e gli insulti, ma anche le condizioni generali di vita, rese precarie dall’uomo che era l’unico a decidere come andavano spesi quei soldi che lui voleva essere l’unico a guadagnare. Per questo spesso, le lasciava senza il riscaldamento. Senza legna per la stufa e senza combustile per i termosifoni. Senza mostrare un minimo di pietà neppure per le sue bambine che, come la madre, erano costrette a stare al freddo. Anche quella, in fondo, era una forma di controllo. La donna ha sopportato fino al 27 aprile del 2014 quando la picchiò più forte del solito, tanto da costringerla a ricorrere alle cure del pronto soccorso. Questo le ha fatto capire che il marito non sarebbe mai cambiato e che per lei e per le bambine sarebbe stato meglio mettere fine a quel rapporto. Così ha trovato il coraggio di denunciarlo. Lui, difeso dall’avvocato Pio Ugo Ori ha provato a respingere le accuse sostenendo che, per poter andare a lavorare la moglie voleva portare le figlie in Marocco, lontano da lui. Ma il giudice non gli ha creduto e lo ha condannato.