Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Arte e amici pelosi I cani entrano a Palazzo Grassi
Venezia, al Teatrino Grassi incontro con gli amici pelosi sugli animali nell’arte. Bethenod: così diversifichiamo il nostro pubblico
Un gruppetto di amici pelosi si è presentata fuori dalla porta ben prima delle sei. Il primo a entrare è stato Gillo in compagnia della sua mamma Maria, che di mestiere fa la guida turistica. il barboncino rosso è stato tra gli ospiti più a proprio agio, pronto a farsi fotografare facendo le giravolte. Ad accoglierli nel foyer una selezione di crocchette di pesce o carne. Più timido il bassotto Lucky e meno il suo simile Pino, simpaticamente impacciata la labrador nera Maya, arrivano una ventina di cani, e poi ancora. Erano tutti lì per accompagnare i loro padroni al Teatrino Grassi di Venezia, aperto per la prima volta ai quattrozampe, per una singolare serata tra arte e filosofia. Nel foyer arriva divertito il direttore di Palazzo GrassiPunta della Dogana Martin Bethenod e prende in braccio il carlino Rocco. L’incontro di ieri sera «Hot Dogs - Cani nell’arte» prendeva spunto da Mark Alizart autore del libro Chiens (2017, Presses Universitaires de France), che smonta i luoghi comuni teorizzando come i cani siano non solo migliore amico dell’uomo per l’affetto di cui sono capaci ma maître à penser depositari della ricetta segreta della vera felicità. I cani e i loro padroni si accomodano all’interno del teatrino del museo, affollato anche da uditori senza Fido. «Una delle missioni del museo - introduce Bethenod - è diversificare il pubblico, oggi apriamo a un nuovo importante pubblico, quello dei cani». Nella sala i cani si comportano ottimamente e la conversazione inizia. Dopo un excursus di Bethenod sulla presenza dei cani nell’arte e nei luoghi veneziani - da Carpaccio a Tiziano, dal Tintoretto al Veronese e Tiepolo, dai
VICENZA
cani seppelliti nel giardino di Peggy Guggenheim ora casamuseo al «Poodle» di Jeff Koons a Palazzo Grassi – la parola passa ad Alizart: «è il cane che ha addomesticato noi, non il contrario. Con un paradosso potrei dire che l’uomo non discende dalla scimmia ma dal cane». Con esempi che partono dalle pitture rupestri risalenti all’8000 a.C. e rappresentazioni divine antropomorfe, come la divinità egizia Anubi (XIII secolo a.C.), soffermandosi sulla raffigurazione cinocefala di San Cristoforo, fino ad arrivare a Freud, emerge un ritratto unico del cane come pensatore, un pensatore che potrebbe conoscere il vero segreto della nostra umanità.