Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA FUSIONE DEI COMUNI E LA TARMA
PPer un verso: mai così tanti. 83.000 abitanti, di 26 Comuni del Veneto, con 77.000 elettori chiamati a decidere se fondersi in 10 nuovi Comuni. Il 16 dicembre, in un sol giorno, si fa più che nei precedenti vent’anni. Per un altro verso: molta fatica, per poco. I nuovi Comuni non saranno infatti né grandi né medi. Solo un poco più grandi. Quasi tutti sotto i 10.000 abitanti. Ma soprattutto: mai così tanti, ma sempre soli e neppure accompagnati. Non sono infatti accompagnati, quei Comuni, da alcun indirizzo della Regione. Autonomamente, la Regione Veneto non ha prodotto nessuna indicazione su quale sarà l’assetto dei Comuni nel Veneto del futuro. Sono poi fermi o del tutto abbandonati i tavoli promossi dalle medie città e che coinvolgevano i piccoli Comuni dei loro dintorni (Schio e Montebelluna, ad esempio). Tramontata infine ogni ipotesi di città metropolitana in centro Veneto, i comuni capoluogo di Provincia dormono sui loro allori. Il Veneto, quindi e pertanto, va bene così com’è. Al massimo ci ripiglieremo le vecchie Provincie, e magari ci chiameranno a votarle. E i referendum del 16 dicembre riguardano piccoli centri, la periferia. Nulla di meno. Ma nulla di più. Nulla da eccepire. Se non fosse che nel Veneto che non cambia, la talpa dei flussi lavora e cambia. Infatti: il Veneto perde, da qualche anno e anno dopo anno, popolazione. Senza referendum alcuno e senza fusione di nessuno, perdiamo un Comune all’anno, di medie dimensioni.
Perché calano le nascite. Ma anche perché il Veneto attrae (deboli) flussi di immigrati di basso e modesto livello professionale, mentre incoraggia (crescenti) flussi di emigranti veneti di alto livello professionale. Con una ulteriore caratteristica: i flussi in entrata si disperdono nel territorio, mentre quelli in uscita si concentrano verso le maggiori città d’Italia e d’Europa.Se si analizzano poi i flussi interni al Veneto, è evidente come i residenti debbano muoversi verso scuole che stanno altrove, verso strutture sanitarie sempre più lontane e verso lavori che stanno da qualche parte. Flussi crescenti, che intasano le strade. E distruggono identità. Le vere identità si costruivano non attorno ai leoni di San Marco ma sotto i “campanili”, ossia i Comuni che riunivano casa-chiesa-scuola-lavoro sotto lo stesso tetto. Oggi non più. Senza alcuna contromossa e contromisura. Neppure da parte delle medie e maggiori città del Veneto, che, quando va bene, mantengono a malapena le dimensioni di ieri.
Questo il Veneto che si sta disegnando: una rete urbana dispersa, con un capitale umano calante e poli d’attrazione declinanti. E dove, ovviamente, neppure i centri di eccellenza, ovvero le Università, riescono più a reggere il loro ruolo. Son sempre più numerosi infatti i “veneti” che scelgono Milano, ma anche Bologna, per laurearsi. E qualcosa si muove anche verso le università delle maggiori città d’Europa.
E così il nuovo modello di famiglia che si va proponendo è quella che vede nonni e genitori residenti in Veneto e attorniati dai (pochi) figli e nipoti spersi e sparsi a studiare o lavorare tra Milano e Bologna (quando va bene) oppure le grandi città d’Europa, qualche volta d’America e non proprio di rado persino d’Australia e Nuova Zelanda.
Ad oggi, pare, va bene così. Anche se somiglia molto alla decrescita. Contenti voi….