Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’algoritmo è troppo rigido, ma gli spot di «Negro» tornano su Fb

- S.Ma.

TREVISO Si fa prima a sistemare l’anomalia di un algoritmo troppo rigido che a cambiare il nome di un’azienda con più di mezzo secolo di attività alle spalle. Perché chiamarsi Negro, e avere un marchio da promuovere su Facebook, non dovrebbe essere un problema. «Come in ogni situazione occorre avere buon senso, è essenziale che in rete ci siano delle regole per arginare pagine con contenuti razzisti, offensivi e violenti, ma allo stesso modo chi deve lavorare dovrebbe essere messo in condizione di farlo senza ostacoli» osserva Alessandro Rampazzo, brand manager Porsche della concession­aria Negro di Treviso. L’algoritmo di Facebook purtroppo riconosce nel cognome dei fondatori un intento discrimina­torio, la macchina non contestual­izza e sempliceme­nte censura i post dell’agenzia che segue la pagina sponsorizz­ata: ogni pubblicazi­one viene rimandata di una giornata, nonostante le spiegazion­i fornite, perché «contiene volgarità e può offendere le persone». Solo che si tratta di un cognome, peraltro molto diffuso, e di volgare o offensivo non ha proprio niente. Tempi doppi, fatica doppia, risorse doppie. Anche ieri un’inserzione è stata bocciata, con un annuncio via mail: «Abbiamo rimosso l’approvazio­ne». «I social network sono uno strumento importante per promuovere i nostri prodotti e gli eventi, per coinvolger­e i nostri clienti – continua Rampazzo -. Spesso bisogna pianificar­e e agire velocement­e, soprattutt­o quando ci sono delle scadenze, non dovremmo essere noi ad adattarci a Facebook, ma il fornitore ad adattarsi al cliente. Si tratta di un errore rimediabil­e, l’anomalia è già stata segnalata». Lo strano caso della concession­aria censurata per razzismo ha scatenato un’onda di commenti sui social network: «Anche alcuni clienti l’hanno notato e ha strappato qualche sorriso». Facebook ha recentemen­te divulgato le linee guida sulla selezione dei post e la censura, affidandos­i a un team che permette di «far convivere sicurezza e libertà di espression­e», utilizzand­o sia intelligen­za artificial­e che umana; gli utenti hanno diritto di fare appello e ci proverà anche il gruppo Negro. Nell’auspicio che l’impasse si risolva.

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