Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Carlo che fondò l’impero Bepi, la Ferrari Mondial e il «vulcano» Giovanna Gli anni ruggenti di Ponte

- Martina Zambon

PONTE DI PIAVE «E come te lo dimentichi Beppino che arriva al Bar Sport di Ponte in Ferrari Mondial? Non era mica da tutti eh…». Galoppavan­o i ruggenti Ottanta e Ponte di Piave, la Stefanel, inclusi gli eredi Bepi e Giovanna, la loro villa fronte fabbrica e il parco annesso, aperto sempre per le feste a cui andava mezzo paese, erano un tutt’uno. Una monade sulla scia dei Marzotto e dei Del Vecchio di quell’impresa-famiglia veneta che correva veloce. Come la «Ferrari rosso Ferrari» che frenava davanti al Bar Sport (poi «Bar Sessola» con l’upgrade a piano bar). Eppure non suscitava invidia, piuttosto orgoglio di famiglia. Il ricordo è di Valentino Dal Ben, elettricis­ta giramondo, che con Giuseppe – per tutti Bepi o Beppino – era nella stessa compagnia di paese da ragazzo. «Ho lavorato ovunque e a Hong Kong o sulla prospettiv­a Nevskij, a San Pietroburg­o, quando vedevo un negozio Stefanel ci entravo con il mio inglese di sopravvive­nza e alle commesse, tutte belle ragazze per altro, glielo dicevo che ero del paese del loro titolare».

Il mattino dopo l’annuncio di una botta di esuberi che equivale all’ultimo atto di un addio annunciato, nel paeseStefa­nel, pioviggina piano. I tricolori che vegliano sul ponte penzolano quasi a lutto. Il Piave che ha ruggito qualche mese fa allagando le golene di fiaba, scorre svogliato. Deserta la zona davanti al municipio commissari­ato da qualche mese...«catfight», lotta fra donne, sindaca e vice sindaca. E qualche mese fa è mancata pure Tiziana Prevedello, moglie di Bepi, amata con rispetto dal paese. Poca gente in giro. E quella poca si riunisce a mo’ di veglia irlandese. Nessuno infierisce sulla «famiglia», si preferisce ricordare gli anni belli. «Anni spettacola­ri – si illumina Vilma Sartori – io ci ho lavorato un paio d’anni, dal ’65 al ’67 ma “loro” sono sempre stati di casa. Mio papà Aldo e Carlo (il fondatore del Maglificio Piave poi divenuto Stefanel ndr) erano amici per la pelle: battute di caccia e tiro al piattello sul Piave, sempre insieme. Com’era il lavoro lì? A fine turno si restava in reparto e “se ciacoea”». Nessuna premura di tornare a casa. «E il sabato era pacifico andare al lavoro, straordina­ri ordinari e la mosca bianca era chi decideva di starsene a casa – si inserisce Maurizio Buriolla – in Stefanel ci sono entrato da ragazzo e ci sono rimasto trent’anni. Il 31 ottobre del 2009 ci convocano per discutere della gestione di un’ondata di esuberi... il giorno dopo sono stato messo alla porta io stesso. È stata dura e ancora oggi per me quella resta casa mia... forse si sarebbe potuto salvare qualcosa, sarebbe bastato il buon senso di chi lavorava lì da decenni, i super manager invece...». Vilma azzarda: «Forse Bepino non è stato proprio all’altezza, Carlo era un’altra cosa». E il padre, l’uomo che si era fatto da sé, giganteggi­a nelle istantanee sbiadite di quasi quarant’anni fa. «Non conto le riunioni in cui Carlo ci bacchettav­a pesantemen­te per qualcosa. Poi ci portava tutti in trattoria. - ricorda Buriolla - Una mattina mi ha telefonato alle 8 meno cinque e mi ha detto: “Stasera passo io a spegnere la calcolatri­ce eh”. M’ero scordato di spegnerla la sera prima. Da allora non riesco a lasciare una luce accesa». Carlo e la Isetta, la «titolare», lei lady di ferro nei ricordi di Vilma e lui, Car-

 Lucchese Hanno creato un impero ma non hanno saputo rinnovarsi

lo, che dopo una lavata di capo passava immancabil­mente a stringerti la spalla per rasserenar­e anche l’ultima delle operaie.

Carlo uomo semplice cresciuto sul filo della competizio­ne, nel derby del Piave con la Benetton, Carlo che decide, a un certo punto, di volere un fashion designer. E punta su Silvano, il fratello di Vilma. Un altro «ragazzo del paese» da far crescere. E lui, che da ragazzetto giocava a basket nel campetto dietro la chiesa con Bepi, incontra Giovanna, concentrat­o di vitalità e colpi di testa. «Con lei - dice Silvano che ora insegna arte - abbiamo girato il mondo. A Parigi le ho fatto scoprire l’Orangerie, che a lei l’arte piaceva impararla». Giovanna che, con il moroso austriaco, ha fatto girare come una trottola il suo autista, Luigino. E c’è chi crede che il pullover «Luigino» debba il suo nome proprio a lui. E poi le sfilate, le notti a disegnar bozzetti per chiudere le collezioni, gli sconosciut­i come Enrico Costa che dalle passerelle di Ponte di Piave (!) sarebbero diventati star della tv di lì a poco. L’annus horribilis è l’87: muore Carlo e ci si quota in Borsa. Va male e mezzo paese che aveva investito, ci rimette. «Lavorare lì era come avere un posto statale» dice Chiara Cardin, insegnante. «Il problema - ragiona Gianmatteo Lucchese che lavora in un’azienda di Ponte - è proprio quello: hanno creato un impero ma sono rimasti con una mentalità statale».

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Stilista Silvano Sartori è stato il primo fashion designer della Stefanel, ora insegna arte
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Responsabi­le di prodotto Maurizio Buriolla ha lavorato in Stefanel 30 anni, fino al 2009
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Addetta alle consegne Vilma Sartori, dal ‘65 al ‘67 seguiva gli affidament­i esterni

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