Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Stefanel, cassa a rotazione per salvare metà addetti Sede centrale, destini segnati
Nei piani dell’azienda Cassa integrazione a rotazione per uscire dal tunnel. Destini segnati per il quartier generale
TREVISO Cassa integrazione straordinaria a rotazione, per tentare di uscire dal tunnel. Sperando di far tornare in equilibrio l’azienda e di salvare metà dei dipendenti. Invece appare segnato il destino della sede centrale: l’obiettivo è lasciarla. Sono gli obiettivi del piano di riorganizzazione di Stefanel. Tra i dubbi dei dipendenti, specie sui trasferimenti a Milano.
TREVISO L’altra sera lo choc. Ieri un inizio di messa a fuoco che un po’ attenua le tinte buie di poche ore prima. Su Stefanel, dopo l’ambiguità di linguaggio della comunicazione ufficiale inviata ai sindacati e al ministero del Lavoro per chiedere la convocazione del tavolo di crisi, a sentire di dover precisare è stata l’azienda stessa, spiegando innanzitutto la ragione della dimensione della richiesta di cassa integrazione straordinaria per ben 244 lavoratori su 253. Una piattaforma molto ampia, è il senso, è utile per far leva sulla massima flessibilità nella formula di Cassa integrazione straordinaria a rotazione che si suppone di poter applicare. Se i tempi di lavoro e «pausa» dovranno essere adeguati ai fabbisogni dei vari reparti, cioè, la possibilità di giostrare su molti nomi favorisce il più ampio adattamento.
Su quante saranno realisticamente le persone che rimarranno alle dipendenze di Stefanel le previsioni sono però difficili. L’ammortizzatore sociale scelto, tipico per gli stati di crisi, impone che, superata la fase di difficoltà (un anno al massimo) la forza lavoro originaria conservata si collochi in un ventaglio del 30%-50%; se sarà di più, tanto meglio. Nei ragionamenti va considerata anche tutta la rete dei negozi italiani di proprietà, che, come già anticipato, andrà incontro ad una ristrutturazione basata sulla capacità di ciascun punto vendita di produrre utili e sull’intenzione di ridurre comunque gli spazi, per allinearli ai formati del nuovo piano industriale in via di definizione. A lavorare nella quarantina di punti vendita della Penisola oggi sono circa 150 persone; in una logica di ricerca di efficienza, alla loro diminuzione non dovrebbe corrispondere una proporzionale contrazione delle insegne.
Altro tema è il destino del quartier generale di Ponte di Piave, alla luce anche del progetto di trasferire molte delle funzioni qui operative alla sede di Milano. Lo stabilimento, nel quale in passato lavoravano più di 500 persone, oggi è in parte affittato ad una società della logistica mentre il resto è occupato ormai da meno di un’ottantina di addetti, viste le varie dimissioni spontanee che si sono registrate negli ultimi mesi. I costi di funzionamento sono diventati sproporzionati, si parla di oltre 400 mila euro l’anno. «Ci fosse una sede più piccola anche sull’altro lato della strada – dicono ai piani alti – ci trasferiremmo subito. È fuori discussione che un presidio in Veneto lo vogliamo mantenere anche se, per certe funzioni e trattandosi del settore moda, è chiaro che il mercato lo si vede molto meglio da Milano».
Ma tutto questo, assieme all’affidamento all’esterno di altre funzioni (credito, affari societari, manutenzioni) basterà a convincere il Tribunale di Treviso, ad aprile, a concedere il concordato e scongiurare il default? «La strada è un po’ in salita – riconoscono sempre gli esponenti di Stefanel – ma l’azienda va riorganizzata in ogni caso, perché se perde non è attrattiva e noi crediamo possa essere resa un’azienda in utile. Siamo ottimisti. Non fossimo fiduciosi di poter portare la società in equilibrio la cosa più semplice da fare sarebbe stata quella di nominare un commercialista che gestisca il fallimento. Invece stiamo preparando nuove collezioni, affrontando ragionamenti sui prezzi e sulle promozioni, sostenendo la formazione della forza vendita e sono anche entrati nuovi manager».
L’umore fra i lavoratori di Ponte di Piave è però di altro segno. «Non è la prima volta che passiamo attraverso piani di ristrutturazione – sono le indicazioni che si raccolgono – ma in questo caso le speranze sono molto tenui. E deve essere considerato che quasi nessuno dei colleghi ai quali verrà chiesto di trasferirsi a Milano, a parità di condizioni, come ci è stato detto, accetterà la proposta».
Critica anche l’opinione sulla volontà di conservare comunque una presenza della società nel Trevigiano: «Secondo noi una scelta politica, non più che la ricerca di una buona immagine per il territorio che potrà agevolare una decisione positiva del Tribunale».