Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Aria di recessione al Nord «Roma vari un piano B»
Le imprese: «Investimenti pubblici e taglio al costo del lavoro per contrastare gli effetti della frenata»
VENEZIA Neppure il tempo di gustare i dati riferiti da Veneto Lavoro, con una ripresa dei contratti stabili e una flessione del precariato, e già il mondo il mondo produttivo ripiomba nello sconforto: Bankitalia annuncia le recessione. Le imprese chiedono al governo di preparare un «Piano B» con investimenti e taglio al costo del lavoro.
VENEZIA Italia in recessione e Nordest esportatore che ripiomba nella preoccupazione. Il tempo per gustare un po’ i dati sull’occupazione riferiti l’altro ieri da Veneto Lavoro, con una sensibile ripresa dei contratti stabili e una flessione del precariato, non è durato più di qualche ora perché Bankitalia ieri è stata netta. Visto l’andamento dell’ultima frazione dello scorso anno, sostiene, Il Pil nazionale crescerà, nel 2019, di appena lo 0,6% contro quell’1% sul quale sono posate tutte le politiche economiche del governo. Accelerando il rallentamento che le ricerche sul Veneto di Bankitalia avevano descritto con una china più soft.
La Penisola non è naturalmente omogenea, il quadro cambia a seconda della latitudine. La Cgia di Mestre, utilizzando dati di Prometeia, ha riassunto ieri le attese sul Veneto per l’anno appena iniziato. L’incremento della ricchezza prodotta è stimata nell’1,1%, combinazione di una accelerazione degli investimenti del 2,8% e dei consumi delle famiglie dell’1,2%. Le esportazioni dovrebbero rinforzarsi ancora (+3,6%) sia pure con una dinamica inferiore rispetto ai mesi scorsi. Ma il sospetto che quell’1% di crescita nazionale di cui è convinto Palazzo Chigi non sia proprio così attendibile esiste anche senza leggere Bankitalia. E se dovesse essere «molto inferiore – conclude la Cgia – il governo dovrà approvare una manovra correttiva già prima dell’estate che, ovviamente, avrebbe ripercussioni negative anche per noi».Senza contare che per fine 2019 bisogna trovare quei 23 miliardi necessari a sterilizzare l’aumento dell’Iva.
Tutti elementi già più che sufficienti per rilanciare l’allarme a Nordest sugli effetti di una recessione temuta, dopo una stagione espansiva che si annuncia già al termine. Con effetti temuti a Nordest, perché potrebbero risultare amplificati dalla particolare natura del sistema produttivo. Lo spiega bene Carlo Bagnoli, docente d’innovazione strategica all’università Ca’ Foscari, di Venezia: «In primo luogo previsioni di rallentamento raffreddano gli stimoli degli imprenditori ad investire e questo viene osservato già da un certo periodo. Ma il secondo fenomeno concatenato, in prospettiva il più pesante – prosegue il professore – ha una radice congenita nella natura stessa delle imprese nordestine. Sostanzialmente produttrici di componenti e orientate al ‘B2b’, cioè ad avere come committenti altre imprese. Principalmente all’estero e soprattutto in Germania e Francia. A loro volta in difficoltà».
Il tema di fondo è che, non avendo rapporti diretti con il consumatore, la maggioranza delle nostre aziende difficilmente vede il mutare delle tendenze. «Possiamo immaginare che ci sia, ad esempio, una virata del settore automobilistico verso trazione elettrica o guida autonoma – spiega Bagnoli –. Ma finché lavoreremo solo ‘di risposta e non di proposta’, cioè accontentando produttori che ci chiedono solo parti per i loro progetti, rischiamo di non reagire per tempo e di essere messi fuori gioco». Dunque sarebbe una buona idea «approfittare di questa crisi congiunturale, per affrontare un ripensamento ampio del nostro modo di produrre».
Ma soprattutto le imprese rilanciano le richieste di un cambio di politica economica al governo. La curva del Pil anche per il presidente di Confartigianato del Veneto, Agostino Bonomo, «non è incoraggiante. Esser legati a filo doppio a Germania e Francia – aggiunge – non ci consente grandi margini di manovra se non diversificare il più possibile le produzioni». Detto questo, servirebbe però lavorare anche di contesto: «Se gli imprenditori reagiscono è chiaro che occorre più attenzione del governo, che non dispone di un piano B contro i venti di recessione imprevisti. La congiuntura internazionale non è colpa di Palazzo Chigi; ma cercare di risanare il sistema non significa preoccuparsi di ‘quota 100’ o di reddito di cittadinanza».
In sintonia la posizione di Federico Visentin, presidente della vicentina Mevis nonché della business school Cuoa. «La recessione non è colpa del governo; che però ce l’ha davanti e non può far finta di non vederla e, anzi, sostenere che il clima è favorevole. Ed è quanto mai necessario – prosegue Visentin –