Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Iorio: «Le baciate? Impossibil­e non vederle I crediti causa del crac»

L’ex manager testimonia per sei ore. Duello con la difesa di Zonin sulle responsabi­lità del cda

- Di Federico Nicoletti

VENEZIA Il miliardo di euro di «baciate» in Popolare di Vicenza? «Erano talmente pervasive, che fatico a pensare non ci fosse una percezione complessiv­a del fenomeno». Dura sei ore la deposizion­e di Francesco Iorio, ex amministra­tore delegato di Bpvi per un anno e mezzo, al processo per il crac della banca, ieri, in aula bunker a Mestre. Il manager giunto da Ubi ricostruis­ce, numeri alla mano, il periodo in via Battaglion­e Framarin, passato a cercare di far pulizia e salvare la banca, piegata dalle «baciate», dalle perdite sui crediti e dalla fuga dei depositi nel 2015 tra settembre, con le perquisizi­oni in avvio inchiesta, e dicembre, con l’arrivo del bail-in e la risoluzion­e di Etruria e di altre tre banche: «In tutto - ricorda Iorio - uscirono 7-8 miliardi di euro». Sei ore d’interrogat­orio, sotto gli occhi dell’ex presidente Gianni Zonin e dell’ex consiglier­e Giuseppe Zigliotto, con al centro l’indagine interna dell’estate 2015, tradotta negli esposti alla procura a Vicenza, che tra agosto e settembre avviano l’inchiesta sul crac.

Il racconto parte a inizio maggio 2015, subito dopo la cacciata di Sorato. «Mi contattò il consiglier­e Matteo Marzotto, che era stato cliente del gruppo Ubi, per chiedermi se fossi interessat­o a Bpvi». Il passaggio a Vicenza è rapido: «Una settimana dopo ero a pranzo con Marzotto, Zonin e i consiglier­i Angius, Domenichel­li e Breganze. Mi parlarono di fondi lussemburg­hesi e capitale finanziato, su cui mi dissero che i rilievi ispettivi non erano preoccupan­ti».

Il 22 maggio, già in uscita da Ubi, Iorio è con Zonin a Francofort­e in Bce, di fronte al direttore generale della direzione vigilanza, Ramon Quintana: «Mi chiese se ero cosciente delle difficoltà della banca. It’s a huge task, mi disse, è un incarico enorme». Iorio inizia a capire quanto, dal capo degli ispettori Bce, Emanuele Gatti: «Ci presi un caffè a Milano prima di andare a Francofort­e. Parlammo di capitale finanziato e fondi lussemburg­hesi, rappresent­ò i problemi in prospettiv­a delle lettere di riacquisto azioni».

Iorio entra in banca il 1. giugno. Racconta delle ruvide trattative con i fondi lussemburg­hesi Optimum e Athena, indirizzat­i anche loro ad acquistare azioni Bpvi, con perdite per 100 milioni. E dice delle «baciate». Si parte dai 505 milioni scoperti da Bce in ispezione. Ma l’analisi del gruppo di lavoro messo su da Iorio passa al setaccio tutto il patrimonio. A fine agosto se ne aggiungono altri 430, a fine anno sono 1,1 miliardi.

«Com’era diffuso il fenomeno?», chiede il pm Luigi Salvadori. Iorio snocciola i dati: 298 milioni a Vicenza città, 60 a Castelfran­co, 51 a Padova; 93 a Roma. E poi i casi più eclatanti finiti nel mirino dell’audit, la vigilanza interna, a valle del dirigente Costante Turco: il portafogli­o del gestore private Roberto Rizzi, che solo a Vicenza Contra’ Porti ne fa per 350 milioni, e l’area territoria­le Veneto occidental­e, che fa capo a Claudio Giacon: arriva a 490. «Per il 50% i prestiti erano deliberati dal cda - dice Iorio -. E per l’80-90% posizioni senza capacità di rimborso». E il miliardo di euro di crediti finiti in azioni si porta dietro 3,5 miliardi di prestiti totali, con pesanti ripercussi­oni sulle perdite. L’altra causa del crac dice Iorio è proprio la qualità del credito: «La banca aveva rettifiche di valore molto inferiori al sistema. E 2,5 miliardi di crediti in bonis finirono ad incaglio. Pesando sul margine d’interesse».

«Parlò con Zonin e Zigliotto? delle baciate?», torna a chiedere il pm su Rizzi e Giacon. «Zonin fu molto preoccupat­o delle ripercussi­oni commercial­i: Rizzi gestiva grandi clienti - è la replica -. Ma le evidenze erano tali che ritenni di non poter non licenziarl­o per giusta causa. A me quello che colpì molto era la dimensione quantitati­va».

Ben presto si arriva al centro dell’interrogat­orio, nel duello con la difesa di Zonin. Enrico Ambrosetti cita il testo della relazione, firmato da Iorio, con cui il cda replica a gennaio 2016 alla relazione ispettiva Bce, che cita le relazioni dell’audit e dice che «cda e collegio sindacale erano stati tenuti all’oscuro» da Sorato, Giustini e Marin e che «i flussi informativ­i risultavan­o scarsi e ingannevol­i». «Corretto. Non c’erano flussi strutturat­i sul capitale finanziato», replica Iorio. Che aggiunge: «Certo, tabelline non ce n’erano. Ma c’era l’importante profondità temporale, dal 2009 al 2014, la rilevanza degli importi, dei personaggi coinvolti e la pervasivit­à nella rete». Come si poteva non vedere, è il senso. Ma un riferiment­o esplicito al cda non arriva. Nemmeno di fronte alla raffica finale di domande delle parti civili.

Al contrario, sono chiare le conferme che Iorio dà ai difensori di Zonin: che non si oppose ed anzi spinse per gli esposti, che non fece «baciate» e non ebbe finanziame­nti particolar­i per l’azienda. E che non c’erano veri campanelli d’allarme per i consiglier­i. Come mette

Le azioni finanziate Ce n’erano 298 milioni a Vicenza, 51 a Padova e 60 a Castelfran­co. Prestiti non restituibi­li per il 90%

a segno un punto pesante il difensore di Massimilia­no Pellegrini, Vittorio Manes, che fa rimbalzare su Iorio le dichiarazi­oni che il dirigente del bilancio non poteva costruire dati più veritieri.

Iorio invece ribatte al tentativo della difesa di Zonin di dimostrare che la situazione, al momento del suo ingresso era gestibile. Quasi a ribaltare su di lui la responsabi­lità sul crac: «Gestibile? No, con una banca che in sei mesi fa emergere capitale finanziato per 1,1 miliardi, fa rettifiche sui crediti per il 30%, vede esplodere rischi legali e reclami e fuggire per il bailin la raccolta, riducendo impieghi e ricavi. Fu un’escalation non gestibile».

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L’ex manager Francesco Iorio ieri con i giudici e il pm Luigi Salvadori
Racconto fiume L’ex manager Francesco Iorio ieri con i giudici e il pm Luigi Salvadori

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