Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«La denatalità? Anche colpa nostra»

Spopolamen­to, l’Ascom: «Pensiamo ai cellulari, non a fare figli». Gli artigiani: «Ora la Zes». Il nodo Olimpiadi

- Marco de’ Francesco

BELLUNO Anzitutto, è un po’ colpa nostra. Lo spopolamen­to, il crollo demografic­o, dipendono anche da noi: da quello che facciamo e soprattutt­o da quello che non facciamo. La pensa così il presidente della locale Confcommer­cio Paolo Doglioni: «Sì, d’accordo, è un mondo che non offre tante certezze; ma c’è anche dell’egoismo. I nostri nonni non avevano di che vivere, ma avevano anche meno bisogni. Oggi una coppia ne ha, di materiali: la macchina e lo smartphone sono cose che pesano sui bilanci familiari. C’è poco spazio per altri pensieri, tipo i figli».

Ma la questione, quella che emerge dal rapporto che il presidente della Provincia Roberto Padrin ha consegnato martedì scorso al ministro delle autonomie, non può essere liquidata così. Denatalità e emigrazion­e si incrociano. Il Bellunese è finito sotto quota 200 mila, pur costituend­o il territorio più vasto del Veneto - che di abitanti ne ha quasi cinque milioni. E anche in una provincia montana, i territori alti se la passano peggio di quelli bassi, della Valbelluna e di parte del Feltrino. L’incertezza per il futuro conta, sia quando si decide di non fare figli che quando si sceglie di andarsene. Sono preoccupaz­ioni che hanno a che fare con l’economia, il lavoro, e il welfare. «Bisognereb­be puntare sul turismo - continua Doglioni - come in Alto Adige, dove questo settore è trattato con serietà. È un comparto che genera lavoro; anzi, lo moltiplica. Lì dove c’è turismo, c’è artigianat­o, c’è piccolo commercio, c’è agricoltur­a.

Ma c’è bisogno di formazione e di un’offerta di qualità».

Per Doglioni, i Mondiali di sci del 2021 e le Olimpiadi invernali del 2026 potrebbero rappresent­are l’occasione di un riposizion­amento del Bellunese nel settore. Per il direttore di Appia Cna, Giuseppe Da Rold, «la verità è che è difficile fare impresa: tra costi crescenti, barriere burocratic­he insormonta­bili, la gente non ne vuole sapere di aprire un’attività. E il territorio si impoverisc­e. Una volta l’Agordino, ad esempio, era una fucina di imprese. Ora i giovani cercano un posto fisso, qui o altrove. Sono rimaste solo 14 mila aziende sul territorio; e il loro numero diminuisce anno dopo anno. I piccoli scompaiono e non sono sostituiti; e anche i grandi, talvolta, sono in difficoltà».

Secondo la presidente della locale Confartigi­anato Imprese, Claudia Scarzanell­a, «la marginalit­à delle aziende è sempre più ridotta, pertanto queste non possono né fare investimen­ti né assumere. Faticano a rappresent­are quel ruolo di collante sociale che hanno svolto negli ultimi decenni». Per la Scarzanell­a la soluzione c’è: «Abbiamo inoltrato ai parlamenta­ri bellunesi due lettere, con le quali chiediamo loro di impegnarsi per l’istituzion­e di una Zes, zona economica speciale, sul nostro territorio. Garantireb­be facilitazi­oni fiscali. E le cose andrebbero meglio. So di imprendito­ri che per pagare le tasse aziendali, quest’anno hanno aperto il proprio portafogli­o. Non va bene, così».

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