Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«La denatalità? Anche colpa nostra»
Spopolamento, l’Ascom: «Pensiamo ai cellulari, non a fare figli». Gli artigiani: «Ora la Zes». Il nodo Olimpiadi
BELLUNO Anzitutto, è un po’ colpa nostra. Lo spopolamento, il crollo demografico, dipendono anche da noi: da quello che facciamo e soprattutto da quello che non facciamo. La pensa così il presidente della locale Confcommercio Paolo Doglioni: «Sì, d’accordo, è un mondo che non offre tante certezze; ma c’è anche dell’egoismo. I nostri nonni non avevano di che vivere, ma avevano anche meno bisogni. Oggi una coppia ne ha, di materiali: la macchina e lo smartphone sono cose che pesano sui bilanci familiari. C’è poco spazio per altri pensieri, tipo i figli».
Ma la questione, quella che emerge dal rapporto che il presidente della Provincia Roberto Padrin ha consegnato martedì scorso al ministro delle autonomie, non può essere liquidata così. Denatalità e emigrazione si incrociano. Il Bellunese è finito sotto quota 200 mila, pur costituendo il territorio più vasto del Veneto - che di abitanti ne ha quasi cinque milioni. E anche in una provincia montana, i territori alti se la passano peggio di quelli bassi, della Valbelluna e di parte del Feltrino. L’incertezza per il futuro conta, sia quando si decide di non fare figli che quando si sceglie di andarsene. Sono preoccupazioni che hanno a che fare con l’economia, il lavoro, e il welfare. «Bisognerebbe puntare sul turismo - continua Doglioni - come in Alto Adige, dove questo settore è trattato con serietà. È un comparto che genera lavoro; anzi, lo moltiplica. Lì dove c’è turismo, c’è artigianato, c’è piccolo commercio, c’è agricoltura.
Ma c’è bisogno di formazione e di un’offerta di qualità».
Per Doglioni, i Mondiali di sci del 2021 e le Olimpiadi invernali del 2026 potrebbero rappresentare l’occasione di un riposizionamento del Bellunese nel settore. Per il direttore di Appia Cna, Giuseppe Da Rold, «la verità è che è difficile fare impresa: tra costi crescenti, barriere burocratiche insormontabili, la gente non ne vuole sapere di aprire un’attività. E il territorio si impoverisce. Una volta l’Agordino, ad esempio, era una fucina di imprese. Ora i giovani cercano un posto fisso, qui o altrove. Sono rimaste solo 14 mila aziende sul territorio; e il loro numero diminuisce anno dopo anno. I piccoli scompaiono e non sono sostituiti; e anche i grandi, talvolta, sono in difficoltà».
Secondo la presidente della locale Confartigianato Imprese, Claudia Scarzanella, «la marginalità delle aziende è sempre più ridotta, pertanto queste non possono né fare investimenti né assumere. Faticano a rappresentare quel ruolo di collante sociale che hanno svolto negli ultimi decenni». Per la Scarzanella la soluzione c’è: «Abbiamo inoltrato ai parlamentari bellunesi due lettere, con le quali chiediamo loro di impegnarsi per l’istituzione di una Zes, zona economica speciale, sul nostro territorio. Garantirebbe facilitazioni fiscali. E le cose andrebbero meglio. So di imprenditori che per pagare le tasse aziendali, quest’anno hanno aperto il proprio portafoglio. Non va bene, così».