Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Mieli a Cortina svela falsi miti e verità della storia
Una Montagna di Libri, oggi a Cortina la presentazione di «Le verità nascoste»
Paolo Mieli presenta «Le verità nascoste. Trenta casi di manipolazione della Storia» (Rizzoli) a Una Montagna di Libri, festa internazionale della letteratura di Cortina d’Ampezzo, oggi, alle ore 18, presso il Miramonti Majestic Grand Hotel. Informazioni: unamontagnadilibri.it
Cento anni fa, in queste settimane, i «legionari» di Gabriele D’Annunzio conducevano a Fiume un episodio di occupazione e di governo del territorio che per la sua natura sperimentale, di difficile inquadramento (nazionalista ma socialmente trasgressiva; condotta con la forza ma corroborata dalla retorica aulica e dalle promesse utopiche del poeta guerriero; bellicista ma «rivoluzionaria», come notò Lenin) resta tuttora dibattuto. Eppure le questioni aperte dall’impresa dannunziana non si limitano a questo. Ne è consapevole Paolo Mieli quando sceglie di intitolare uno dei trenta casi di manipolazione della Storia che costellano il suo nuovo saggio, Le verità nascoste (Rizzoli, 325 pp.) nientemeno che «L’antimussoliniano Gabriele D’Annunzio». Uno slogan forte, ma aderente al vero, se si legge Mieli, che a sua volta cita Giordano Bruno Guerri: non solo D’Annunzio «non fu mai fascista», ma «nelle settimane che seguirono il rapimento e l’uccisione di Giacomo Matteotti, D’Annunzio divenne quasi un incubo per i fascisti», mentre l’Unione spirituale dannunziana «aveva l’obiettivo dichiarato di resistere al fascismo e di fondare una costituente sindacale ispirata a quella costituzione utopistica che aveva preso il nome di Carta del Carnaro». Tanto che anni dopo, il giorno successivo alla morte di D’Annunzio, il duce confidò a Galeazzo Ciano che se D’Annunzio all’epoca del delitto Matteotti «si fosse schierato contro», sarebbe stato «un pericoloso avversario perché aveva molto seguito nella gioventù». Ecco come Fiume, uno degli episodi inseriti precipitosamente tra i miti fondativi del fascismo, rivela le sue contraddizioni e la sua complessità. È uno dei tanti casi in cui Mieli invita a diffidare non solo di letture semplicistiche, ma proprio di versioni adulterate della Storia. Riprendendo interventi apparsi sul Corriere della Sera nell’analisi di testi di storiografia di questi anni, Mieli ricorda la volenterosa collaborazione offerta da molti comunisti dei paesi dell’Europa orientale agli occupanti nazisti alla fine degli anni Trenta e fino a che l’Unione Sovietica fu «alleata» con la Germania; sfata la leggenda nera di Pio XII, che contrariamente a quanto è stato sostenuto «non frenò l’insurrezione di Roma contro Hitler». Ma dove sta il punto di equilibrio tra memoria e manipolazione? Mieli cita ad esempio la famosa provocazione lanciata nel 1975 da Walter Chiari: «quando fu appeso per i piedi a piazzale Loreto, dalle tasche di Mussolini non cadde nemmeno una monetina.
Se i nuovi reggitori d’Italia subissero la stessa sorte, chissà cosa uscirebbe dalle loro tasche!» Eppure, ricorda Mieli citando Mauro Canali e Clemente Volpini, nei concitati giorni del crollo del regime, il governo Badoglio appena insediato subito promuove un’inchiesta sugli arricchimenti dei maggiorenti mussoliniani. Altro che monetine, scrivono Canali e Volpini: «fughe rocambolesche, rotoli di banconote nascosti nell’acqua degli sciacquoni, arresti eccellenti, favolosi patrimoni in ville, tenute, palazzi e castelli». Un fiume di denaro di cui su 118 miliardi di lire lo Stato riuscirà a recuperare solo 19. Insomma, è la grande faccenda dell’oblio. Ma a fianco dell’oblio selettivo, «buono», che consente ai popoli di guardare al futuro, citando Yehoshua, ne esiste uno che alternativamente dimentica e salva quel che vuole. A soli trent’anni dalla caduta del regime, Walter Chiari poteva fare quella battuta in un’Italia che disinvolta aveva scordato (quasi) tutto.