Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il lutto al tempo del virus
Enon è detto che ciò sia male, necessariamente. Ma c’è ancora di più. E riguarda i nostri sentimenti più profondi. E i momenti estremi della nostra vita: la nascita e la morte. Della prima, e dell’amore, vedremo. Misurando tra nove mesi l’andamento delle nascite: se diminuito per il crollo delle occasioni di incontro, o aumentato a seguito di una nuova e in qualche modo obbligata tenerezza domestica. Della seconda, posso dire in prima persona. Giovedì è morta mia madre, quasi centenaria, nella capitale economica d’Italia. Nell’epoca del coronavirus, ma non di coronavirus. Non potrò accompagnarla, come in altri momenti io e la mia famiglia avremmo fatto. Niente visite. Una sola persona ammessa in camera mortuaria. Niente funerale nell’istituto che l’ha ospitata per anni (niente pericolosi visitatori, in una struttura per anziani a rischio). Trovata una chiesa lì vicino, sconosciuta: dove andremo in pochi, i familiari stretti. Se ci sarà qualcun altro, sarà a rispettosa distanza. Niente abbracci, presumo. Pericolosissime le lacrime. Niente annunci sul giornale per avvisare dove sarà il funerale: non potremmo far entrare le persone. Sappiamo già – sta già accadendo – che l’ammissione al cimitero sarà contingentata. Solo pochi, alla sepoltura: gli altri i giorni successivi, alla spicciolata. L’elaborazione del lutto, neanche lei, sarà più collettiva: ma individuale, a distanza, a quel punto in silenzio. Solo le lacrime saranno ammesse: non disturberanno nessuno, rigando solo le guance di chi le piange. Ecco, questo è un cambiamento significativo. Ridere lo si farà meno: perché di solito si ride in compagnia. Piangere, potremo farlo lo stesso, perché si può fare anche, e forse meglio, da soli. Non è detto che ne venga fuori una società più triste. Potrebbe essere l’occasione di far maturare persone più consapevoli. Nel caso, sarebbe un guadagno.