Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA VERA PARTITA
Alessandro Baschieri, in un editoriale apparso sul Corriere del Veneto giovedì 27 febbraio, si chiedeva quale fosse il «punto di caduta», il momento in cui, senza nulla togliere all’emergenza sanitaria, cominciare a pensare (anche) alla ripresa dell’economia. «Perché prima o poi - spiegava bisognerà trovare il coraggio di girare la chiave e riaprire il mondo. Il problema è quando».
Già, quando? Il «punto di caduta», purtroppo, appare ancora lontano. L’emergenza Coronavirus è diventata drammatica: al 27 febbraio le vittime da Covid-19 in Veneto erano due, oggi siamo oltre le ottanta. Per giunta, l’allarme sta investendo tutta l’Europa, anzi tutto il mondo, che di conseguenza anziché (ri)aprirsi si chiude sempre di più: le fibrillazioni di Borsa indicano in modo lampante il rischio di una nuova recessione globale.
È in questo scenario che si colloca il decreto, non a caso intitolato «Cura Italia», approvato lunedì dal governo: 25 miliardi freschi, con una leva che mobiliterebbe fino a 350 miliardi.
«Una diga per proteggere famiglie, imprese, lavoratori» l’ha definito il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Che ha immediatamente aggiunto: «Siamo consapevoli che non basterà». Rinviando a un ulteriore provvedimento ad aprile, quando forse (si spera) i danni provocati dal virus sul sistema economico saranno più chiari. Eccolo il punto, che deve essere ben chiaro ai cittadini e alle associazioni di categoria: i 25 miliardi messi sul piatto di sicuro non sono sufficienti per il rilancio del Paese post Coronavirus ma sono destinati a fronteggiare l’incendio. «Nessuno deve perdere il lavoro a causa dell’epidemia» ha dichiarato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Ottimo. Meglio se, in parallelo, nessuna impresa fallisce.
Una gran parte delle risorse è indirizzata al potenziamento degli ammortizzatori sociali e alla loro estensione verso i settori che ne erano sprovvisti (per esempio, il turisticoalberghiero). Le misure per il sostegno del reddito, comprese le partite Iva, ammontano complessivamente a 10 miliardi. Poi ci sono le sospensioni dei pagamenti. E un pacchetto di quasi tre miliardi in favore delle Pmi: l’obiettivo principale è garantire quella iniezione di liquidità indispensabile per tirare avanti.
La «prima risposta», come l’ha chiamata Conte, è arrivata. La seconda, sotto forma di un grande piano di investimenti, non potrà che scattare quando finirà la conta quotidiana dei morti. E dovrà obbligatoriamente passare per un massiccio piano finanziario lanciato dall’Europa.
Se questa è la strada, c’è da augurarsi che imprenditori, artigiani, commercianti, non ricomincino da domani con il coro delle lamentazioni e con le richieste di interventi in ordine sparso (o peggio, con le richieste di dimissioni del governo). Il tessuto economico del Veneto ha dato ampia prova di resilienza. Certo, centinaia di aziende sono state costrette allo stop perché impossibilitate a garantire la sicurezza dei lavoratori, ma tutte non vedono l’ora di tornare a far girare le macchine a pieno vapore. Adesso bisogna giocare la partita a Bruxelles. Si vince o si perde tutti insieme.