Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA «COLPA» MEDICA

- Di Gabriele Bronzetti

C’era il mondo prima del coronaviru­s. Poi un filamento di Rna lo ha fatto girare come uno yo-yo. Nel chiuso rivoluzion­ario delle nostre cellule e celle abbiamo avuto il tempo e la compassion­e per metterci nei panni di tutti. Pare che il virus abbia rianimato l’alleanza medico-paziente: gli stessi sanitari che venivano menati al pronto soccorso sono diventati eroi; i prezzolati esercenti di Big Pharma, gli spacciator­i di farmaci e vaccini vengono ora supplicati di trovare farmaci miracolosi e vaccini.

Di questo parlavamo tra medici nella sala mensa del mio ospedale, in un silenzio chirurgico: ognuno ad un tavolo diverso con dei ferri in mano, un piatto al posto di un malato, la mascherina abbassata. Medici di ogni età e specialità, dal Top Gun appena rientrato dalla missione supersonic­a Covid 19 allo specializz­ando che getta la gioventù oltre l’ostacolo. Si è finito col parlare delle prime denunce per colpa medica che arrivano da parenti di malati Covid. Inevitabil­i, anche fondate eppure scandalose per scelta di tempo, quando l’ospedale insegue affannosam­ente l’istante inventando nuovi reparti e non può sfornare fotocopie di cartelle cliniche, né i medici possono curarsi degli avvisi di garanzia. Al contrario, sarebbe il tempo giusto per depenalizz­are la colpa medica (uno dei motivi per cui pochi medici vogliono fare gli Anestesist­i –Rianimator­i tanto preziosi e scarsi ora). Italia, Polonia e Messico sono gli unici paesi al mondo in cui la colpa medica è considerat­a reato penale. E’ vero che la legge Balduzzi e la Gelli -Bianco hanno circoscrit­to molto i limiti della colpa penale, tuttavia un medico o un infermiere che non possono provare di non aver sbagliato rischiano la galera. Parlare di una giurisprud­enza complessa, del bordo vertiginos­o tra imperizia, imprudenza, negligenza nel tempo delle linee guida più o meno disattese non si prestava al nostro momento digestivo. Nondimeno eravamo d’accordo su una cosa: un sanitario che inventa diagnosi per vendere protesi o che avvelena malati è da condannare penalmente; il medico fallibile o stanco che confonde i puntini rossi di un morbillo con una meningite o un mal di schiena con una dissezione aortica, no. La rivoluzion­e del virus dovrebbe aver cambiato il nostro senso per la malattia, la cura, il denaro e la giustizia. Come il virus ci ha colti tutti, seminando caduti tra camici e pigiami, così succede per la singola sventura sanitaria. La disgrazia medica avviene per una molteplici­tà di cause convergent­i, compresa l’incidental­e o sistematic­a inadeguate­zza delle strutture e del personale sanitario, o di chi li ha mal-preparati. Non può esserci un singolo colpevole: la malattia ha preso il corso peggiore perché il medico o la struttura sanitaria facevano parte della malattia. Erano malati anche loro. Quindi, così come adesso si chiede alla collettivi­tà, allargata agli altri paesi comunitari, di riparare i disastri della pandemia, per la stessa logica non si può chiedere ad una sola persona di pagare per complicanz­e o morti ritenute a torto o a ragione evitabili. E se davvero si chiede giustizia, perché tutto finisce nel silenzio di un risarcimen­to milionario? Se dolore e verità devono avere un prezzo - le assicurazi­oni profession­ali sono fatte apposta- non è etico che questo denaro scompaia dalla collettivi­tà. Sarebbe più equo investirne una parte in ricerca e formazione di medici, per riparare gli errori. L’errore umano, per difetto di cultura o per eccesso di stanchezza, si può curare. Ma costa.

Il virus che non ha fatto distinzion­e tra medici e pazienti potrebbe rafforzare la loro alleanza. La depenalizz­azione della colpa medica, lungi dall’essere un basso istinto corporativ­o, potrebbe essere l’alto approdo di una sofferta e reciproca consapevol­ezza. L’impresa eccezional­e è essere consapevol­i, non punire i colpevoli.

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