Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Obesi e diabetici sono i più a rischio ma anche i giovani devono stare a casa»

- di Silvia Madiotto

TREVISO C’è un pre-Covid e un durante-Covid, al Ca’ Foncello di Treviso. Prima dell’epidemia il reparto di terapia intensiva aveva 12 posti letto, 24 infermieri, 3 medici diurni e uno notturno. «Ma un’emergenza simile cambia tutto, i ritmi, le abitudini» afferma Antonio Farnia il primario di anestesia e rianimazio­ne.

«Siamo passati subito a 16, poi a 22, poi altri 7 posti utilizzand­o anche spazi diversi. Gli operatori sono venuti a lavorare anche fuori orario. Ogni volta che apro una nuova terapia intensiva, mi servono almeno 3 medici. Sono rientrati profession­isti, medici e infermieri, che non lavoravano qui da anni, la risposta è stata incredibil­e. Il clima è difficile ma la disponibil­ità che queste persone hanno dimostrato è straordina­ria, nessuno si tira mai indietro».

Dottor Farnia, quanto rimane mediamente un paziente in terapia intensiva?

«Dipende, ci sono ricoveri quotidiani e dimissioni quotidiane. Qualcuno è qui da 25 giorni o dall’inizio dell’epidemia. Non tutte le situazioni sono uguali, dipende dalle comorbidit­à. In particolar­e se si tratta di pazienti obesi, diabetici, ipertesi, con cardiopati­e o insufficie­nze renali la previsione è lunga e difficolto­sa. Chi non ha patologie precedenti, a volte se la cava meglio».

Ha citato per primi i soggetti obesi e diabetici. Sono i pazienti più a rischio?

«Assolutame­nte sì. Su circa 20 pazienti in terapia intensiva, quasi quindici sono obesi e diabetici. Questo virus è un po’ razzista, ce l’ha soprattutt­o con chi ha qualche problema clinico. Obesi e diabetici sono in una posizione molto difficile, a queste persone conviene molto rimanere in casa. L’obesità non è un abito, ma è una patologia che predispone al diabete e a malattie cardiovasc­olari, esponendo a una penetrazio­ne e a un’aggressivi­tà più elevata del virus. Penso a quello che succede negli Usa, dove la cultura alimentare è diversa dalla nostra. Oltretutto, un obeso può avere insufficie­nze respirator­ie. Il problema di questo virus è proprio nel sistema respirator­io».

Qual è l’età media di chi viene ricoverato?

«La paziente più giovane ricoverata nel nostro reparto aveva 37 anni, è stata dimessa. L’età massima che abbiamo toccato è di 85 anni. La media è fra i 50 e gli 80 anni. Per le persone più anziane è più difficile mantenere la sedazione, cambia la risposta».

Cominciano a diminuire i ricoveri in terapia intensiva. È un buon segnale?

«Siamo stati per alcuni giorni su una media di 27-28 pazienti, temevo di dover aprire altri 9 posti in piastra operatoria, di dover attingere a infermieri di reparto. In realtà da qualche giorno, assieme alla riduzione delle affluenze ospedalier­e, giornalmen­te c’è stata una lieve riduzione».

Ed è positivo?

«Ora che i casi diminuisco­no il mio timore è che la gente perda l’attenzione sulle misure di prevenzion­e, che esca di casa. È successo anche con le pandemie precedenti, anche con la Sars che era un altro coronaviru­s. Se abbassiamo la guardia i casi aumentano. E tra i nuovi casi potrebbero esserci anche giovani. I pazienti a rischio, come anziani e grandi obesi, sono già contagiati. Questa malattia non risparmia nessuno. Forse all’inizio, ma non sappiamo come sarebbe un suo ritorno».

Insomma, l’età giovane potrebbe non essere una garanzia.

«No, soprattutt­o in caso di disfunzion­i multiorgan­o o di pazienti immunodepr­essi».

C’è una grande collaboraz­ione tra i reparti. Siete in stretto contatto con il resto dell’ospedale?

«Tutti siamo interconne­ssi. I pazienti non così gravi da richiedere l’intubazion­e vengono ventilati dalle pneumologi­e e dalle medicine d’urgenza, che sono diventate vere subintensi­ve. Se non avessimo loro, non avremmo superato questo momento. Ringrazio ogni medico, infermiere e oss, senza di loro non potremmo sopravvive­re. Ma mi permette un altro ringraziam­ento?».

Dica.

«Oltre alla Regione e alla Protezione civile, tutte le associazio­ni che stanno facendo donazioni. Il consorzio Per Mio Figlio ci ha donato strumenti che ci permettono di lavorare. Senza saremmo stati in grande difficoltà».

Antonio Farnia Pazienti tra i 50 e gli 80 anni, la più giovane aveva 37 anni

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Il dottor Antonio Farnia, primario di Terapia intensiva
Terapia intensiva Il dottor Antonio Farnia, primario di Terapia intensiva

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