Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Se il rombo della moto è «rinascita»
Ore 23.15 di venerdì 8 maggio, dintorni di Padova. Fuori c’è la notte con il suo silenzio, gli ultimi trilli dei grilli. E di colpo il rumore di una moto che corre...
Ore 23.15 di venerdì 8 maggio, dintorni di Padova. Fuori c’è la notte con il suo silenzio, gli ultimi trilli dei grilli. E di colpo un rumore di motore, di una moto, che non va ma corre. Salgono i giri, salgono le marce, si stabilizza il rombo, riprende l’accelerata, non è ancora urlo ma voce possente, una musica in saliscendi. Li abbiamo stramaledetti, in tempi normali, questi centauri emuli di quello che non sono, quando sgasavano per niente nelle strade dell’hinterland, pavoncelli scriteriati su due ruote prepotenti, pericolosi per loro, e chissenefrega, ma soprattutto per gli altri. Però stasera è diverso, questo rumore non è strafottenza, è rinascita. Da quanto non sentivamo la musica del movimento? Sono accelerazioni liberatorie, stavolta. E lo si capisce, nei tre minuti che dura questa magìa sonora, dal ritmo della guida che fa intuire la strada, le curve, il gusto piuttosto che l’aggressività. Immaginiamo, da seduti al computer, il motociclista libertario che infrange il silenzio, probabilmente non infrange divieti, ma soprattutto abbatte il muro della costrizione. Chissà come chissà perché, tornano in mente i futuristi, quei matti esagerati di più di un secolo fa, per i quali il movimento era tutto. Cinetici oltre misura, con derive devianti, bastava che qualcosa fosse la negazione dell’inerzia, della stasi, della lentezza, del soporifero. Evvai con l’esaltazione della velocità, del rumore connesso, delle immagini danzanti difficili da fermare, il vortice, le scie e le emozioni che ne derivavano, a viverle e vederle. Ma il motociclista sconosciuto non è Marinetti, non vuole la rivoluzione, ma di nuovo la libertà del vento. Lo si capisce dalla sua guida assennata, quella che dà piacere più che brivido, ma che non è viaggio, trasferimento, ma interpretazione. I giri del motore sono il suo canto, la voce del motore è la sua, e immaginiamo che in questa sua sortita abbia assaporato il vuoto della strada libera, l’assenza di ostacoli fisici e psichici, il suo essere se stesso nel mondo, insomma il gusto di una libertà consapevole. Figurarsi, se è liberatorio per noi questo concerto di carburatori, quanto dev’esserlo stato per lui, il motociclista. Dopo tre minuti il canto del motore s’è allontanato, fino a sparire. Ma è rimasta l’eco, che lascia una traccia di pensiero. Il rumore non è un simbolo di libertà, ma questa volta sì. Dopo mesi di lockdown cambiano i parametri, e con loro le sensazioni. Motore/movimento/libertà è un sillogismo facile, ma di questi tempi da riconquistare.
Il motociclista dei tre minuti diventa per noi un simbolo. Invisibile, ha titillato i pensieri solo con i decibel, con quell’acceleratore diventato la bacchetta di un direttore d’orchestra, per una musica finalmente ritrovata. Basta niente a dare la sensazione che la vita ricomincia. A quest’ora sarà già a casa, si toglie il casco, non ha la mascherina, respira. Respiriamo anche noi, con lui sconosciuto, conosciuto solo per aver infranto il silenzio con un assolo inebriante. Lo ringraziamo, lo invidiamo. E torniamo a sentire i grilli, che sono un concerto dopo l’acuto.