Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il virus e il futuro che verrà, l’analisi del sociologo Allievi
Immigrazione, demografia, scuola istruzione e lavoro nel nuovo libro del sociologo Allievi. L’analisi: «Una visione globale per ripartire»
Emergenza Covid-19 e poi? Il mondo non sarà come prima, fare scelte è urgente o l’Italia è destinata a finire nella spirale del sottosviluppo. Ma per ogni decisione è indispensabile una visione globale, che non può prescindere da temi come demografia, immigrazione, emigrazione, istruzione, lavoro. L’analisi accurata sulla situazione globale per arginare la deriva e ripartire, è il tema nel nuovo libro del sociologo padovano Stefano Allievi La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro (Laterza 224 pagine, 15 euro), da oggi in libreria. Il saggio sarà presentato da Allievi al Festival Vicino/Lontano di Udine il 21 maggio (Chiesa di San Francesco ore 21) e nella conferenza-spettacolo «Ri/ Partire. L’Italia dopo il coronavirus» il 20 maggio, in diretta streaming da Fabrica (ore 21 www.fabrica.it/ripartire). Stefano Allievi, professore di Sociologia e direttore del Master in Religions, Politics and Citizenship all’Università di Padova, si occupa di migrazioni in Europa, dell’analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso. Nel nuovo libro evidenzia come l’enorme sbilanciamento demografico in Italia renda l’immigrazione necessaria.
Professor Allievi, perché così l’Italia non ha futuro?
«Avevamo già debolezze strutturali molto forti e una demografia devastante: popolazione in calo e aumento degli anziani. Nel 2045 il rapporto lavoratori attivi e pensionati sarà uno a uno. L’agenda politica dei prossimi decenni dovrebbe occuparsi solo di questo: l’interconnessione tra temi, la visione globale»
L’immigrazione è indispensabile alla sopravvivenza dell’Italia?
«Cala la popolazione attiva. In questo siamo primi in Europa, è un calo iniziato già 30 anni fa. L’80% degli immigrati da noi è operaio, mentre l’80% dei giovani ha almeno un diploma di scuola superiore. I lavoratori immigrati sono colf, badanti, braccianti agricoli, manovali, operai, addetti alle pulizie, camerieri, fattorini. Tutti mestieri che non fanno i nostri diplomati e laureati disoccupati. Piuttosto restano Neet o partono per l’estero. Sono posti liberi, disponibili perché non interessanti per gli autoctoni. Tranne per la fascia più debole e meno istruita che ha subìto i danni maggiori, non dalla presenza degli immigrati ma da un mercato non controllato e non regolamentato che ha permesso che i salari in questi settori scendessero impunemente».
Il tema istruzione è un altro dei nodi che lei analizza.
«L’Italia ha metà dei laureati della media dei Paesi Europei e il doppio degli analfabeti funzionali dei Paesi Ocse. Da noi la percentuale di laureati è molto bassa anche tra i dirigenti. I Paesi che funzionano meglio sono quelli che investono di più nell’istruzione, peggio di noi ci sono solo Grecia e Romania. Conoscenza e competenza in generale in Italia non sono valorizzate. Bisogna investire nella scuola e nell’istruzione».
Come uscire dalla spirale del sottosviluppo?
«Il coronavirus ci obbliga a occuparcene. Siamo più poveri del 10% in tre mesi. Questo ci costringe a investire su politiche della famiglia, demografia, immigrazione, lavoro, istruzione. Ci servono immigrati, un mercato regolare e regolamentato. Spendiamo troppo poco per l’immigrazione. È mezzo secolo che abbiamo una storia di immigrazione, è un dato strutturale, non un’emergenza. E spendiamo troppo poco su istruzione e lavoro».
Cosa manca all’attuale classe politica e al governo?
«Manca la visione globale. Negli anni la delegittimazione della conoscenza e di intellettuali e studiosi ha portato a continui piani di emergenza, senza un disegno d’insieme e senza soluzioni analitiche capaci di collegare tra loro più ambiti. L’Italia ha bisogno di un’onesta operazione verità per reagire: quanto sta male? e quali sono le medicine giuste da prendere? Servono scelte, anche dure. Altrimenti si continuerà a reagire con interventi di emergenza».
Una soluzione?
«Visione globale e competenza. Consapevolezza e autorevolezza. Questo serve per avere un futuro in Europa e tra i Paesi sviluppati»